«Giusto. Però non credo che sia bastato a mettere in testa a qualcuno una cattiva idea che non avesse già per conto suo. E non puoi dire che fosse malefico. Un quadro non può esserlo, Doris.»

«Be', allora immagina di avere uno strumento di tortura, qualche aggeggio usato dalla Gestapo.» La signora Jago si guardò intorno come se fra tutta quella roba si aspettasse di trovare un esempio calzante. «Io direi che è malefico. Non me lo porterei certo in casa.»

«Vedi, Doris, quello che potresti dirmi sarebbe che è stato utilizzato per uno scopo malvagio. Ma è una cosa diversa.»

«Perché aveva messo in mostra il ritratto, signor Jago?» si intromise Rickards.

«Perché me l'aveva chiesto lui, ecco perché. Di solito gli faccio posto per qualcuno dei suoi piccoli acquerelli: a volte li vende, a volte no. Gli dico sempre che devono essere soggetti marini... Vede, qui tutto ricorda l'Ammiraglio e l'ambiente di mare. Ma lui voleva assolutamente che esponessi questo, così gli dissi che l'avrei tenuto per una settimana. Me lo portò lui stesso, con la bici. Era lunedì dodici.»

«Sperava di venderlo?»

«Oh, no, non era in vendita. Questo l'aveva detto chiaro e tondo fin dall'inizio.»

«Allora che scopo aveva metterlo in mostra?» chiese Oliphant.

«È proprio quello che gli ho chiesto anch'io.» Jago si voltò verso il sergente con aria trionfante, come se avesse riconosciuto in lui un esperto suo pari in fatto di logica. «"A cosa ti serve metterlo in mostra se non vuoi venderlo?" gli ho chiesto. "Lascio che lo guardino" mi ha risposto lui. "Voglio che lo vedano. Voglio che lo veda tutto il mondo." Credo fosse un po' troppo ottimista: questa non è mica la National Gallery.»

«Caso mai mi sembra di più il Museo nazionale della Marina» disse Doris con un sorriso raggiante.

«E dove l'aveva appeso?»

«Di fronte alla porta. Al posto dei due quadri della battaglia del Nilo, no?»

«E, secondo lei, in quei sette giorni quante persone l'avranno visto?»

«In pratica, mi sta chiedendo quanti clienti sono venuti, perché bastava entrare per vederlo. Non potevano farne a meno, no? Doris voleva toglierlo, ma io avevo promesso di tenerlo in mostra fino al lunedì successivo, e così ho fatto. Però quando è venuto a riprenderselo è stato un sollievo. Come ho detto, qui si tratta di ricordi dell'Ammiraglio, quella tela stonava. Comunque, per quello che ci è rimasta... Blaney aveva detto che se lo sarebbe portato via il diciannove, e infatti così è stato.»

«E l'ha visto anche qualcuno del promontorio o della centrale?»

«Glielo ripeto, tutti quelli che sono entrati qui l'hanno visto. È vero che il Locai Hero non è il loro ritrovo abituale, molti preferiscono allontanarsi dalla centrale, dopo il lavoro, e chi può dargli torto? Voglio dire, va benissimo vivere accanto alla bottega, ma non a una bottega di quel genere.»

«Se ne è parlato molto? Per esempio, qualcuno ha domandato dove Blaney tenesse quel quadro?»

«A me no di sicuro, ma credo che molti lo sapessero già. Voglio dire, qualche volta parlava della baracca in cui dipinge. E se anche avesse avuto intenzione di venderlo, non aveva ricevuto nessuna offerta. Però posso fare con certezza il nome di qualcuno che l'ha visto: Hilary Robarts.»

«Quando, esattamente?»

«La sera dopo che lui l'aveva portato qui, verso le sette. Hilary Robarts veniva, di tanto in tanto. Non beveva molto, solo un paio di sherry. Di solito se li portava alla panca, vicino al fuoco.»

«E veniva qui sola?»

«Sì, quasi sempre. Un paio di volte l'ho vista in compagnia del dottor Mair. Ma quel martedì era sola.»

«Che cosa ha detto quando ha visto il quadro?»

«Si è fermata a guardarlo. Il pub era pieno, la gente è ammutolita. Sa com'è. La guardavano tutti. Io non la vedevo in faccia perché mi voltava le spalle. Poi si è avvicinata al banco e ha detto: "Ho cambiato idea. Mi è passata la voglia di bere in questo posto. Evidentemente non ci tiene ad avere clienti di Larksoken". E se n'è andata. Be', io non faccio differenze per nessuno: mi basta che la gente non si sbronzi e non mi chieda di bere a credito, però quella sera non ho pensato che fosse una gran perdita.»

«Dunque la signorina Hilary Robarts non era molto benvoluta, sul promontorio?»

«Sul promontorio non saprei. Non era particolarmente benvoluta in questo pub.»

«Stava facendo di tutto per cacciare i Blaney da Scudder's Cottage» intervenne la signora Jago. «È un vedovo che deve tirar su quattro figli, capisce? Dove pensava che se ne sarebbe andato? Prende gli assegni familiari e altri aiuti dell'assistenza, ma non potrebbe mai riuscire a trovarsi un'altra casa. Comunque, naturalmente mi rincresce che sia morta. Nel senso che è normale, che dispiaccia, certe cose non dovrebbero mai succedere a nessuno. Manderemo una corona a nome del Locai Hero.»

«E quella è stata l'ultima volta che l'avete vista?»

«L'ultima volta che l'ha vista George. Io l'ho incontrata domenica sul promontorio, poche ore prima che morisse, ieri. Ho detto a mio marito che credo di essere stata l'ultima a vederla viva... Be', io, Neil Pascoe e Amy. Sul momento non ci si pensa, vero? Non possiamo prevedere il futuro, e non lo vorremmo nemmeno. A volte osservo la centrale e mi domando se non finiremo tutti quanti morti su quella spiaggia.»

Oliphant chiese alla signora Jago per quale motivo si trovava sul promontorio.

«Ero andata a consegnare la rivista della chiesa. Lo faccio sempre, il pomeriggio dell'ultima domenica del mese. Le ritiro dopo il servizio religioso del mattino, e dopo pranzo vado a distribuirle. Lei magari la chiama colazione, ma noi diciamo pranzo...»

A dire il vero, anche Rickards l'aveva sempre chiamato pranzo, a dispetto dei continui tentativi della suocera per elevare la sua condizione sociale. Per lui il pasto di mezzogiorno era il pranzo, e quello della sera la cena, anche se spesso consisteva in un panino con le sardine. Si chiese cosa avessero mangiato i coniugi Jago quel giorno. «Non sapevo che gli abitanti del promontorio fossero praticanti, a parte i Copley, naturalmente.»

«E la signora Dennison. Lei ci va sempre. Non posso dire che gli altri vadano in chiesa, però tutti comprano la rivista della parrocchia.» Dal tono della signora Jago si capiva che esistevano abissi di ateismo in cui nemmeno gli abitanti del promontorio riuscivano a sprofondare. «Tutti tranne i Blaney. Be', è logico, loro sono cattolici. Almeno, lei era cattolica, povera donna, e anche i figli lo sono. Per forza, no? Ryan non so, invece. Non ho mai portato la rivista a Scudder's Cottage, neppure quando la moglie era ancora viva. E i cattolici non hanno riviste parrocchiali.»

«Questo non lo direi, Doris» intervenne George Jago. «Può darsi benissimo che le abbiano anche loro.»

«Siamo qui da quattro anni, caro, e padre McKee viene abbastanza spesso al pub. Eppure, io non ne ho mai vista una.»

«Be', mi sembra logico, no?»

«Io dico che se ci fossero le avrei viste. Loro sono diversi da noi. Non fanno la Festa del raccolto e non hanno riviste parrocchiali.»

«Sono diversi perché hanno dogmi diversi, Doris. È tutta lì, la questione; la Festa del raccolto e le riviste non c'entrano affatto.»

«Lo so che è una questione di dogma. Il Papa dice che la Madonna è ascesa in cielo, e loro ci credono. Lo so anch'io cos'è un dogma.»

Prima che Jago avesse il tempo di riaprire la bocca per contestare quell'affermazione, Rickards si intromise: «Dunque ha consegnato la rivista sul promontorio la domenica pomeriggio. Quando, esattamente?».

«Ecco, mi pare di aver cominciato verso le tre, forse un po' più tardi. La domenica pranziamo dopo, in effetti... avevamo cominciato a mangiare il pudding verso le due e mezzo. Poi George ha messo i piatti nella lavastoviglie e io sono uscita. Diciamo le tre e un quarto, per essere precisi.»

«Alle tre e un quarto eri già andata, Doris» tornò a puntualizzare il marito. «Direi che erano le tre e dieci.»

«Non credo che cinque minuti facciano una grande differenza» intervenne Oliphant con un moto d'impazienza.

George Jago gli rivolse uno sguardo di calcolata sorpresa e rimprovero. «Potrebbero essere decisivi, invece. Direi che in un'indagine per omicidio, cinque minuti possono essere determinanti.»

Anche la signora Jago aveva da dire la sua. «Può essere decisivo persino un minuto, se è quello in cui è morta. Decisivo per lei, almeno. Non so proprio come si possa dire che non fa differenza.»

Rickards pensò che era venuto il momento di intervenire. «Sono d'accordo, cinque minuti possono essere importanti, signor Jago, ma non in questo caso. Forse sua moglie vuole spiegarci cosa ha fatto e cosa ha visto...»

«Ecco, ho preso la bicicletta. George si offre sempre di accompagnarmi in macchina, ma deve già girare tanto durante la settimana, e non voglio che si disturbi a tirare fuori la macchina anche la domenica, dopo il roastbeef e il pudding.»

«Non sarebbe un disturbo, Doris, te l'ho spiegato un sacco di volte.»

«Lo so, George. Non ho forse appena detto che ti piace accompagnarmi? Ma io amo fare un po' di moto e rientro sempre prima dell'imbrunire.» La signora Jago si rivolse a Rickards: «A George non andava che io restassi fuori dopo il tramonto, con il Fischiatore in circolazione».

«Quindi è uscita fra le tre e dieci e le tre e un quarto, con la bici, e ha fatto un giro del promontorio» riassunse Oliphant.

«Con le riviste della parrocchia nel cestino, sì. Prima sono andata alla roulotte, come sempre. Adesso è un po' un problema con Neil Pascoe.»

«In che senso, signora Jago?»

«Be', ci ha chiesto più di una volta di mettere in mostra la sua rivista, il "Nuclear Newsletter", qui nel bar, in modo che i clienti la comprassero, o almeno la sfogliassero. Però io e George ci siamo sempre opposti. Voglio dire, nel pub vengono diversi dipendenti di Larksoken e non è simpatico trovarsi sotto il naso una rivista che dice che quello che fai è mostruoso e che bisogna smettere. Non fa piacere, quando tutto quello che desideri è berti una birra in santa pace. A Lydsett non tutti approvano l'operato di Neil Pascoe. Non si può certo negare che la centrale abbia portato quattrini e lavoro, in paese, e poi bisogna fidarsi un pochino, o sbaglio? Voglio dire, se il dottor Mair dichiara che l'energia atomica non è pericolosa, probabilmente ha ragione. Comunque non si può neanche fare a meno di pensarci, ogni tanto.»

«Ma il signor Pascoe ha preso la rivista della chiesa?» domandò Rickards.

«Be', costa solo dieci pence e immagino ci tenga a sapere cosa succede nella parrocchia. Quando è arrivato sul promontorio, due anni fa, sono andata a parlargli e gli ho chiesto se voleva la rivista. È rimasto un po' sorpreso, ma poi ha detto di sì, ha pagato i dieci pence e da allora l'ha sempre acquistata. Se non la volesse, non dovrebbe fare altro che dirlo.»

«E cosa è successo, alla roulotte?»

«Ho visto Hilary Robarts, come ho già detto. Ho consegnato la rivista a Neil, ho preso i soldi e stavo parlando con lui nella roulotte, quando è arrivata la Golf rossa. Amy era fuori con il piccolo, a ritirare i panni stesi. Quando ha visto la macchina, Neil è uscito ed è andato vicino ad Amy. Hilary Robarts è scesa dalla macchina e tutti e due sono rimasti a guardarla per un po' in silenzio. Non è stata certo una grande accoglienza, ma cosa si aspettava? Poi, quando la signorina Robarts stava ormai per raggiungerli, Timmy le è corso incontro e le si è attaccato ai calzoni. È molto affettuoso, non voleva fare niente di male. Sa come sono, i bambini. Ma aveva pasticciato nel fango sotto il rubinetto, e così le ha sporcato i calzoni. Lei l'ha spinto via, non troppo gentilmente, Timmy è caduto a sedere e ha cominciato a strillare, e allora è scoppiato il finimondo.»

«Come hanno reagito?» chiese Oliphant.

«Be', di preciso non ricordo cosa abbiano detto. Comunque cose che la domenica non ci si aspetterebbe di sentire. Parole che cominciano con t, o con p. Insomma, ci vuole poco a immaginare.»

«E ci sono state minacce?» intervenne Rickards.

«Dipende da quello che si intende per minacce. Hanno urlato e strillato. Neil no. Lui stava lì, fermo, ed era così pallido che credevo di vedermelo svenire da un momento all'altro. Era Amy, quella che faceva più chiasso, come se Hilary Robarts avesse cercato di accoltellarle il figlio. Comunque non ricordo tutto per filo e per segno. Lo chieda a Neil Pascoe. La signorina Robarts non si era nemmeno accorta che ci fossi. Lo chieda ad Amy e a Neil. Loro glielo diranno.»

«Sì, ma cerchi di dirmelo anche lei» insistette Rickards. «È molto utile sentire i punti di vista di varie persone, a proposito di qualunque cosa. In questo modo ci si fa un quadro più preciso, capisce?»

«Più preciso? Diverso, forse. Sarebbe più preciso se tutti dicessero la verità» si intromise Jago.

Per un attimo l'ispettore temette che Doris fosse in procinto di contestare l'affermazione del marito con una nuova dimostrazione semantica. «Be', sono sicuro che lei ci sta raccontando la verità, signora Jago. Perciò abbiamo cominciato con voi. Ricorda esattamente cosa hanno detto?»

«La signorina Robarts, mi sembra, ha detto che era venuta per fargli sapere che intendeva ritirare la querela, ma che adesso l'avrebbe portata avanti, e sperava di rovinarli tutti e due. "Lei e la sua puttana", ecco cosa ha detto. Carina, eh?»

«Ha pronunciato queste precise parole?»

«Sì, e parecchie altre che però, davvero, non ricordo esattamente.»

«Quello che vorrei sapere, signora Jago, è da chi sono partite le minacce. Da Hilary Robarts?»

Per la prima volta, la signora Jago parve a disagio. Poi disse: «Be', era lei a minacciare, no? Non era certo Neil Pascoe che l'aveva querelata.»

«E poi cos'è successo?»

«Niente. La signorina Robarts è risalita in macchina e se n'è andata. Amy ha portato il bambino nella roulotte e ha sbattuto lo sportello. Neil sembrava così avvilito che ho creduto si mettesse a piangere, allora gli ho detto qualcosa per fargli un po' di coraggio.»

«Che cosa, signora Jago?»

«Ho detto che quella era una gran carogna e che un giorno o l'altro qualcuno l'avrebbe fatta fuori.»

.«Non è stato molto bello da parte tua, Doris» disse Jago. «Soprattutto di domenica.»

«Non è molto bello in nessun giorno della settimana. Però non ho sbagliato di molto, vero?»

«E dopo cos'è successo, ancora, signora Jago?» chiese Rickards.

«Ho continuato il giro delle consegne. Prima sono andata alla Vecchia Canonica. Di solito non ci passo, perché i Copley e la signora Dennison vanno al servizio religioso della mattina e ritirano la rivista; ma ieri non sono venuti, e io ero un po' preoccupata. Temevo che fosse successo qualcosa. Ma erano semplicemente troppo indaffarati a preparare le valigie. Dovevano partire per raggiungere la figlia, nel Wiltshire. Buon per loro, ho pensato, e intanto la signora Dennison si riposerà un po'. Mi ha offerto una tazza di tè, ma ho detto che non mi sarei fermata perché vedevo che era troppo presa dai preparativi. Comunque sono rimasta in cucina con lei per cinque minuti a chiacchierare. Mi ha detto che alcuni impiegati di Larksoken avevano regalato certi vestiti da bambini veramente belli per la beneficenza, e che avrebbero potuto andare bene alle gemelle Blaney. Voleva sapere se a Ryan interessavano. Ci avrebbe messo su i prezzi, così lui poteva scegliere prima che li portassimo via. L'avevamo già fatto un'altra volta, ma bisogna stare molto attenti. Se Ryan sospettasse che gli facciamo la carità, non accetterebbe nulla. Così invece gli facciamo credere che sta aiutando la chiesa. Dato che lo vedo quando viene al pub, la signora Dennison pensava che sarebbe stato meglio se glieli avessi proposti io.»

«E dopo la visita alla Vecchia Canonica?»

«Sono andata al Martyr's Cottage. Ogni sei mesi la signorina Mair paga l'abbonamento, quindi non mi fermo mai a incassare i dieci pence. Certe volte è occupata, certe volte non c'è, così le lascio la rivista nella buca delle lettere.»

«Ha notato se ieri era in casa?»

«Non l'ho vista. Poi sono andata all'ultimo cottage, dove abitava Hilary Robarts. Era già rientrata. Ho visto la Golf rossa davanti al garage. Ma di solito non bussavo neppure da lei. Non era il tipo di donna che ti invita a entrare per scambiare due parole e offrirti una tazza di tè.»

«Quindi non ha visto nemmeno lei?» intervenne Oliphant.

«Be', l'avevo già vista, no? Se vuol sapere se l'ho vista di nuovo, allora la risposta è no. Però l'ho sentita.»

A quel punto, la signora Jago fece una pausa a effetto, in cui Rickards chiese: «L'ha sentita? Come sarebbe a dire?».

«È stato mentre infilavo la rivista nella buca delle lettere. Stava discutendo con qualcuno, un vero litigio. Era il secondo della giornata, per lei. O forse il terzo.»

«Perché dice questo?» domandò Oliphant.

«Ma, niente, me lo sono chiesto, ecco tutto. Avevo notato che quando era arrivata alla roulotte era già molto agitata. Rossa in viso, nervosa... sa come succede.»

«E l'ha capito guardandola dalla porta della roulotte?»

«Sicuro. Diciamo che è una specie di dono.»

«Saprebbe dirmi se stava parlando con un uomo o con una donna?» volle sapere Rickards.

«Poteva essere l'uno o l'altra. Io sentivo una voce sola, la sua. Ma di sicuro c'era qualcuno con lei. A meno che non stesse urlando per conto proprio.»

«Che ora sarà stata, signora Jago?»

«Circa le quattro, o poco più tardi. Diciamo che sono arrivata alla roulotte alle tre e venticinque e sono venuta via dopo dieci minuti... Poi ho passato un quarto d'ora alla Vecchia Canonica, e così si fanno le quattro meno cinque. Ho attraversato il promontorio... Sì, dovevano essere passate da poco le quattro.»

«E dopo è tornata a casa?»

«Esatto. Sono rientrata poco più tardi delle quattro e mezzo, no, George?»

«Forse sì, cara. O forse no» disse il marito. «Dormivo.» Rickards e Oliphant se ne andarono dopo dieci minuti, e George e Doris rimasero a guardarli sparire in macchina dietro l'angolo.

«Non posso certo dire che quel sergente mi sia simpatico» commentò Doris.

«A me non è simpatico né l'uno né l'altro.»

«Pensi che abbia sbagliato, George, a parlare del litigio?»

«Non potevi fare che così. Si tratta di omicidio, Doris, e tu sei stata l'ultima a vederla viva, se tutto va bene. Comunque, probabilmente sarebbero venuti a saperlo lo stesso, magari da Neil Pascoe. Inutile nascondere ciò che la polizia finirebbe per scoprire da sola. E poi, hai detto solo la verità.»

«Ecco, vedi, George, non l'ho detta proprio tutta. Forse ho evitato di calcare la mano. Però non ho raccontato bugie.»

Per un attimo rimasero a riflettere in silenzio su quella sottile distinzione; poi Doris riprese: «Il fango che Timmy ha impiastricciato sui calzoni della Robarts si era formato sotto il rubinetto. È così da settimane. Sarebbe da ridere, no, se Hilary Robarts fosse stata assassinata perché Neil Pascoe non è capace di cambiare una rondella?»

«No, Doris» disse George, «non ci troverei proprio niente da ridere.»

 

32

 

I genitori di Jonathan Reeves avevano lasciato la casetta a schiera nella parte meridionale di Londra per trasferirsi in un appartamento di una moderna palazzina affacciata sul mare alla periferia di Cromer. La sua assunzione alla centrale aveva coinciso con il pensionamento del padre, e così avevano deciso di tornare in un posto che tutti conoscevano e apprezzavano già per averci trascorso le vacanze estive. Il giorno del trasloco, sua madre gli aveva detto: «Speriamo di poterti offrire questa nuova casa fino a quando troverai la ragazza che fa per te». Da quando aveva lasciato la scuola, all'età di quindici anni, suo padre aveva lavorato per ben mezzo secolo nel salone moquette di un grande magazzino di Clapham, diventando caporeparto. L'azienda gli vendeva le moquette a un prezzo inferiore a quello di costo, e gli scampoli, che a volte non bastavano per coprire nemmeno una piccola stanza, li aveva addirittura gratis; dunque, fin dalla prima infanzia, Jonathan aveva vissuto in ambienti esclusivamente moquettati.

A volte gli sembrava che quei soffici velli di lana e nailon avessero finito per assorbire e smorzare qualcosa di più dei loro semplici passi. A qualunque tipo di avvenimento positivo, sua madre reagiva con un «molto simpatico», frase che si adattava tanto a un pranzo gradevole, quanto a un fidanzamento, a una nascita in casa reale o a un tramonto spettacolare; «Terribile, terribile. Chissà dove andremo a finire» era invece il commento di rito per accadimenti sgraditi, quali l'assassinio di Kennedy, gli omicidi di stampo più atroce, i maltrattamenti, le violenze sui minori e le bombe dell'IRA. Ma in realtà, non si stava affatto domandando dove sarebbero andati a finire: quell'interrogativo esprimeva soltanto un sentimento ormai soffocato in strati di Axminster, mohair e sottofeltro. A Jonathan Reeves sembrava che la sua famiglia vivesse in amichevole compagnia solo in virtù del fatto che le emozioni, indebolite dal disuso o da una strana forma di denutrizione, non consentivano loro di intavolare alcuna lite. Al primo segno di nubi all'orizzonte, sua madre diceva: «Non alzare la voce, caro, le liti non mi piacciono». I disaccordi, mai intensi, venivano espressi da una sorta di risentimento che periva per mancanza di ossigeno.

Jonathan andava abbastanza d'accordo con la sorella Jennifer, di otto anni più grande, che aveva sposato un impiegato comunale di Ipswich. Una volta, mentre la osservava china sul ferro da stiro, con la faccia atteggiata nella solita espressione risentita e concentrata, aveva provato l'impulso di dirle: «Parla, Jennifer. Dimmi cosa pensi della morte, del male, di quello che gli uomini fanno nel mondo». Ma la risposta della sorella era stata fin troppo prevedibile: «Io so cosa ci faccio al mondo: stiro le camicie di papà».

A conoscenti e amici, sua madre parlava del marito chiamandolo "il signor Reeves". «Il signor Reeves è molto stimato dal signor Wainwright»; «Naturalmente si può dire che il signor Reeves sia il reparto moquette di Hobbs & Wainwright». Il grande magazzino rappresentava le aspirazioni, le tradizioni e le ortodossie che altri realizzavano e vedevano nella libera professione, nella scuola, nell'esercito o nella religione. Il signor Wainwright senior era il preside, il colonnello, il sommo sacerdote, e la loro rara presenza domenicale nella locale cappella dell'Unione Riformista costituiva un omaggio a una divinità inferiore. Non andavano in chiesa regolarmente. Jonathan sospettava che si trattasse di una scelta deliberata. Gli altri, magari, avrebbero voluto conoscerli, coinvolgerli nelle riunioni fra le madri del quartiere, nei tornei di whist, nelle gite organizzate dalla scuola domenicale, e magari avrebbero addirittura desiderato venirli a trovare. Il venerdì della sua prima settimana alla scuola secondaria, il bullo della classe aveva detto: «Il padre di Reeves fa il commesso da Hobbs & Wainwright. La settimana scorsa ha venduto un tappeto alla mia mamma». E, con le mani ossequiosamente giunte, aveva detto ancheggiando: «Sono certo che la signora troverà questa lavorazione di suo gusto e molto resistente. È una linea molto apprezzata». I compagni avevano riso con un certo imbarazzo, e il bullo, in mancanza di maggiore solidarietà da parte del suo pubblico, aveva smesso di prenderlo in giro. Molti dei padri di quei ragazzi avevano impieghi ancora meno prestigiosi del suo.

A volte Reeves pensava: non possiamo davvero essere così mediocri e scialbi come sembriamo... E si domandava se non fosse per caso un suo personale difetto a distorcere l'immagine dell'intera famiglia, ad annegarla in quella nebbia di inettitudine e pessimismo. Di tanto in tanto ripescava dal cassetto della scrivania l'album con le foto dei tempi andati, una sorta di documento della loro mediocrità: i genitori in posa contro la balaustra della passeggiata di Cromer e al Whipsnade Zoo, un'altra in cui lui appariva ridicolmente vestito con la toga il giorno della consegna del diploma. L'unica foto degna di interesse era una stampa color seppia che ritraeva il bisnonno durante la Prima guerra mondiale, seduto di traverso su un finto muretto con accanto un'enorme aspidistra in un vaso di Benares. Attraverso un abisso di settantaquattro anni, Jonathan osservava intensamente quel ragazzo dall'aria gentile e vulnerabile che, nella divisa troppo stretta e sotto a un berretto esageratamente grande, ricordava più l'ospite di un orfanotrofio che un giovane soldato. Era sopravvissuto a Passchendaele e Ypres, ed era stato congedato, ferito e malridotto dai gas, all'inizio del 1918, quando ancora conservava sufficiente forza per mettere al mondo un figlio. Una vita del genere, pensava Jonathan Reeves, non poteva certo essere stata mediocre. Il bisnonno era sopravvissuto a quattro anni di orrori con coraggio, tenacia, e con una stoica accettazione di ciò che Dio, o la fortuna, gli avevano destinato.

Ma anche se non era stata mediocre, adesso quella vita sembrava del tutto priva di interesse. Era servita a continuare la stirpe, ma non di più. E che importanza aveva? Tuttavia, Jonathan Reeves cominciava a pensare che anche l'esistenza di suo padre era la dimostrazione di uno stoicismo in fondo non tanto diverso. Forse non si potevano paragonare i cinquant'anni da Hobbs & Wainwright con i quattro di guerra in Francia, ma gli uni e gli altri avevano richiesto a pari merito una rassegnazione stoica e dignitosa. Avrebbe voluto poter parlare del bisnonno e dell'infanzia di suo padre, ma quel dialogo sembrava impossibile, e sapeva che a trattenerlo era non tanto una timidezza inibitrice, quanto la paura che, dietro a quella strana barriera di mutismo e reticenza, non vi fosse nulla di interessante da scoprire. Eppure non era sempre stato così. Ricordava il Natale del 1968, quando suo padre gli aveva regalato il suo primo libro di scienze: Le meraviglie della scienza. La mattina di Natale erano rimasti vicini per ore, a sfogliare insieme le pagine che suo padre prima leggeva e poi spiegava. Conservava ancora quel libro, e ogni tanto tornava a curiosare fra le sue illustrazioni: "Newton e la mela", "Come funziona la televisione", "Cosa succede quando facciamo una radiografia", "I prodigi delle navi moderne". «Mi sarebbe piaciuto diventare scienziato, se le cose fossero andate diversamente», gli aveva confessato allora suo padre, e quella era stata l'unica volta in cui gli aveva lasciato capire che per lui, per tutti loro, avrebbe potuto esserci una vita diversa. Ma ormai era andata così, e non c'era rimedio. "Tutti noi" pensava "abbiamo bisogno di mantenere la nostra esistenza sotto controllo, e in questo modo la restringiamo fino a farla diventare piccola e meschina in modo da riuscire a illuderci di poterne disporre a nostro piacimento."

Una sola volta la routine delle loro prevedibili giornate era stata rotta da un avvenimento inaspettato e drammatico. Poco dopo il suo sedicesimo compleanno, il padre di Jonathan aveva preso la Morris ed era sparito. L'avevano ritrovato tre giorni dopo. Era seduto in macchina, sul culmine di Beachy Head, e contemplava il mare. I medici avevano parlato di esaurimento nervoso dovuto al troppo lavoro, e il signor Wainwright gli aveva concesso due settimane di vacanza. Suo padre non aveva mai spiegato cosa fosse successo esattamente, sottoscrivendo così la versione ufficiale che parlava di amnesia temporanea. Nessuno dei suoi genitori era mai più tornato sull'argomento.

Il nuovo appartamento era al quarto piano, l'ultimo di una moderna palazzina di pianta rettangolare. Il salotto aveva una porta a vetri che dava su un balcone abbastanza grande per tenerci due sedie. La cucina era piccola, ma aveva un tavolo pieghevole dove riuscivano a mangiare comodamente in tre. C'erano due sole stanze da letto: quella dei genitori sul davanti, e la sua, molto più piccola e affacciata sul retro della casa, sul parcheggio e la città. Il salotto aveva un caminetto a gas che aumentava lo scarso tepore fornito dal riscaldamento centrale, e sopra al quale era stata appesa una finta mensola dove la madre teneva i piccoli tesori reduci dalla casa di Clapham. Ricordava la mattina in cui erano andati a vedere l'appartamento. Sua madre era uscita sul balconcino e aveva esclamato: «Guarda, papà, sembra di essere sul ponte di un transatlantico!». Si era girata come in trance, immersa nei ricordi della sua collezione di vecchie riviste, zeppe di foto di dive impellicciate sulle passerelle di navi decorate da una miriade di bandierine, quasi udisse la sirena della pilotina e la banda che suonava sul molo. E fin dall'inizio i suoi genitori avevano considerato quell'appartamento come un favoloso passo avanti rispetto alle casette a schiera londinesi. D'estate spostavano le due poltrone davanti alla finestra, per guardare il mare; d'inverno invece le voltavano e sedevano davanti al finto camino. Né i venti gelidi dell'inverno, né l'afa dell'estate, quando il sole batteva contro i vetri, avevano mai strappato loro una parola di rimpianto per la vita del passato.

Quando il padre era andato in pensione, avevano venduto la macchina e ora il garage monoposto accoglieva la Ford Fiesta che Jonathan si era comprato di seconda mano.

Parcheggiò e chiuse la porta basculante, pensando che quegli appartamenti assicuravano una grande privacy. Erano quasi tutti occupati da coniugi in pensione che la mattina andavano a passeggio, il pomeriggio si incontravano con gli amici per il tè e la sera rincasavano invariabilmente prima delle sette. Quando Jonathan rientrava dal lavoro, l'intero isolato era silenzioso e tutte le tende delle stanze sul retro della casa erano tirate. Si chiese se Caroline avesse intuito o saputo per certo che lui era libero di andare e venire senza che nessuno lo notasse. Davanti alla porta esitò un istante, con la chiave in mano, augurandosi di poter posporre l'incontro. Ma un'attesa più lunga sarebbe parsa innaturale: dovevano aver sentito l'ascensore.

Sua madre lo raggiunse di corsa. «È terribile, terribile. Quella povera ragazza. Io e papà l'abbiamo sentito alla radio. Ma almeno hanno trovato il Fischiatore, una preoccupazione in meno. Non ucciderà più nessuno, dopo quella poverina.»

«Pensano che sia morto prima della signorina Robarts, mamma, quindi non dovrebbe essere stato lui.»

«Ma certo che è stato lui, Jonathan. È morta nello stesso modo, non è vero? Chi altri potrebbe essere stato?»

«È proprio quello che la polizia sta cercando di scoprire. Sono stati alla centrale tutta la mattina, a mezzogiorno mi hanno interrogato.»

«E perché mai? Non penseranno che tu c'entri in qualche modo!»

«Naturalmente no, mamma. Interrogano tutti, tutti quelli che la conoscevano. E poi, io ho un alibi.»

«Un alibi? Un alibi? E perché mai dovresti aver bisogno di un alibi?»

«Non ne ho bisogno, però ce l'ho lo stesso. Ieri sera ho cenato con una ragazza della centrale.»

Sua madre si illuminò tutta. La gioia che quella notizia le aveva procurato eclissò per un momento l'orrore del delitto.

«E dimmi, chi ti ha invitato, Jonathan?»

«Una ragazza della centrale, te l'ho detto.»

«Sì, sì, ho capito. Ma che tipo di ragazza? Perché non l'hai portata qui? Sai che questa è casa tua come lo è per me e papà. Puoi sempre portare qui i tuoi amici. Perché sabato o domenica prossima non la inviti a prendere il tè? Tirerò fuori il sevizio di tua nonna, quello bello. Non ti farò fare certo brutta figura.»

Provando una fitta di pietà, Jonathan rispose: «Forse un giorno la porterò, mamma. Per ora è un po' presto».

«Non capisco per quale motivo dovrebbe essere troppo presto per conoscere i tuoi amici. Comunque, se vogliono un alibi, è un bene che tu fossi con lei. A che ora sei rientrato?»

«Alle undici meno un quarto.»

«Non era poi così tardi. Hai l'aria stanca, però. Dev'essere stata un brutto colpo per tutti, a Larksoken. Una ragazza che conoscevi. L'amministratrice, hanno detto alla radio.»

«Sì, è stato un brutto colpo. Forse per questo non ho molta fame. Vorrei aspettare un po', prima di cenare.»

«È già pronto, Jonathan. Braciole d'agnello: sono già cotte. Devo solo passarle sotto il grill. E anche la verdura è pronta. Si fredderà se non vieni.»

«Okay, mamma. Arrivo fra cinque minuti.»

Appese la giacca in corridoio, poi si diresse in camera e si sdraiò sul letto a fissare il soffitto. Il solo pensiero del cibo gli dava la nausea; ma aveva detto cinque minuti, e se si fosse fatto aspettare, sua madre sarebbe venuta a bussare alla porta. Bussava sempre, ma con gentilezza. Due colpetti discreti, come se si trattasse di una riunione segreta. Temeva di sorprenderlo a fare chissà cosa, se fosse entrata direttamente? Con uno sforzo si sollevò a sedere, ma fu immediatamente assalito dalla nausea e da una senso di debolezza tale che gli parve di svenire. In realtà, era solo un misto di stanchezza e avvilimento, e lo sapeva.

Eppure, finora non era stato tanto terribile. A interrogarlo erano tre: l'ispettore capo Rickards, un giovane robusto con l'aria seria che gli era stato presentato come il sergente Oliphant, e uno ancora più giovane che se ne stava in un angolo a prendere appunti, e che nessuno si era degnato di presentare. La centrale aveva assegnato alle forze di polizia il piccolo ufficio del reparto di fisica medica. I due più importanti erano seduti fianco a fianco dietro un tavolo, vestiti in borghese. Come sempre, quella mattina nell'ufficio si respirava un vago odore di disinfettante, e Jonathan non se n'era mai spiegato il perché, visto che in quel buco non si svolgeva alcuna procedura medica. Due camici bianchi erano ancora appesi dietro la porta, e qualcuno aveva dimenticato un vassoio pieno di provette sullo schedario, come per accentuare l'atmosfera rilassata e dilettantistica che regnava nella centrale. Insomma, quell'ufficio regalava un'immagine molto terra terra. Jonathan aveva avuto la sensazione di essere esaminato per pura routine, in quanto una delle tante persone che conoscevano Hilary Robarts. Quanti altri erano passati dalla stessa porta per rispondere alle stesse domande? Entrando si era quasi aspettato che gli chiedessero di rimboccarsi la manica per un prelievo di sangue; sapeva che gli eventuali approfondimenti, se mai ci fossero stati, avrebbero avuto luogo altrove, e più tardi. Ma si era ugualmente sorpreso di non aver ceduto alla paura. Pensava che i poliziotti fossero dotati di una capacità quasi soprannaturale di individuare le menzogne, ed era convinto che sarebbe entrato nella stanza reggendo un carico di rimorso ben visibile anche da lontano.

In realtà gli agenti gli avevano chiesto nome e indirizzo. Il sergente aveva preso nota e, quasi stancamente, aveva detto: «Per favore, potrebbe dirci dove si trovava ieri sera tra le sei e le dieci e mezzo?»

Jonathan ricordava di aver pensato: perché le sei e le dieci e mezzo? L'avevano trovata sulla spiaggia. Quasi tutte le sere andava a nuotare, subito dopo il notiziario delle nove. Lo sapevano tutti, o almeno tutti quelli che la conoscevano. E la domenica il notiziario era alle nove e dieci. Poi ricordò che dovevano sapere esattamente quando era stata trovata morta. Il referto dell'autopsia non era ancora arrivato, quindi, e loro volevano andare sul sicuro. Dalle sei alle dieci e mezzo. Ma il momento importante doveva essere intorno alle nove. Il fatto di averlo capito con tanta chiarezza lo sorprendeva ancora.

«Sono rimasto a casa con i miei genitori fino a dopo pranzo» aveva risposto. «Intendo, dopo il pasto dell'una. Poi sono andato con la macchina a passare la serata con la mia ragazza, Caroline Amphlett. Sono rimasto con lei fino alle dieci e mezzo o poco più tardi. Abita in un bungalow alla periferia di Holt, è l'assistente del direttore, il dottor Mair.»

«Sappiamo dove abita, signore, e anche chi è. Qualcuno l'ha vista arrivare o andar via?»

«Non credo. Il bungalow è isolato e non c'erano molte macchine in giro a quell'ora. Forse qualcuno del palazzo dove abito può avermi visto uscire, non so.»

«E come avete passato la serata?»

L'agente nell'angolo aveva smesso di scrivere, e lo guardava senza particolare curiosità. Gli era parso annoiato.

«Caroline ha preparato la cena e io l'ho aiutata. Aveva pronta una zuppa fatta in casa, e l'ha scaldata. Poi abbiamo mangiato omelette ai funghi, frutta e formaggio. Abbiamo bevuto vino. Poi abbiamo chiacchierato, siamo andati a letto e abbiamo fatto l'amore.»

«Non credo sia necessario addentrarci nei dettagli più intimi della serata. Da quanto tempo è amico della signorina Amphlett?»

«Da circa tre mesi.»

«E quando avevate progettato la serata insieme?»

«Qualche giorno prima.»

«Quando è arrivato a casa?»

«Intorno alle dieci e tre quarti, forse poco dopo.» Poi, dopo una breve pausa, aveva aggiunto: «Non ho testimoni, purtroppo. I miei genitori erano andati a trovare mia sorella, a Ipswich. È sposata».

«E lei sapeva che sarebbero stati fuori città, quando si è messo d'accordo con la signorina Amphlett per passare la serata insieme?»

«Sì. vanno sempre da mia sorella l'ultima domenica del mese. Ma non avrebbe avuto importanza. Voglio dire, ho ventotto anni. Vivo con loro ma non sono obbligato a rendere conto di ogni movimento.»

Il sergente lo aveva guardato e aveva detto: «Libero, bianco, ventotto anni», come se stesse prendendo appunti per un annuncio matrimoniale. Jonathan era arrossito, e aveva pensato: è stato un errore. Non cercare di fare il furbo e di spiegare. Rispondi alle domande e basta.

Allora, l'ispettore capo lo aveva congedato. «Grazie, signore. Per ora è tutto.»

Mentre Jonathan si dirigeva alla porta, Rickards aveva osservato: «Non era stata molto gentile con lei, la signorina Robarts, per quel programma radiofonico a cui aveva partecipato, La mia religione e il mio lavoro, se non sbaglio. Sergente, lei l'ha seguito?»

«No, signore» aveva risposto Oliphant. «No, non l'ho seguito e non so proprio come abbia potuto sfuggirmi. Doveva essere interessante.»

Jonathan si era voltato. «No, non era stata molto gentile, Sono cristiano, non è sempre facile.»

«"E benedetti sarete quando vi insulteranno e perseguiteranno poiché amate il Vangelo"» aveva detto Rickards. «È stata una persecuzione? No? Be', allora poteva andar peggio. Almeno oggi non rischiate più di finire in pasto ai leoni.»

Il sergente era parso trovare la battuta alquanto spiritosa.

Per la prima volta Jonathan si chiese come potevano sapere della persecuzione di Hilary nei suoi confronti per via di quel programma. Per qualche ragione, la sua breve e patetica notorietà, la sua professione di fede, avevano scatenato l'indignazione della Robarts. E qualcuno, alla centrale, doveva averne parlato alla polizia. Dopotutto, avevano interrogato molta gente, prima di arrivare a lui.

Ma ora era tutto finito. Aveva fornito alla polizia il suo alibi e quello di Caroline, e non vi era motivo perché tornassero a interrogarlo. Non doveva pensarci più. Ma sapeva che sarebbe stato impossibile. E ora, ricordando il racconto di Caroline, rimase colpito da certe incoerenze. Perché aveva deciso di parcheggiare la macchina in un tratto isolato della strada, sotto gli alberi di una carreggiabile? Perché portare Remus sul promontorio quando intorno al bungalow c'erano tante passeggiate? Avrebbe capito se Caroline avesse voluto lasciar correre il cane sulla spiaggia e farlo sguazzare in acqua, ma lei aveva detto di non essersi spinta fino al mare. E quale prova aveva che fosse arrivata alla scogliera soltanto alle dieci, mezz'ora dopo il momento in cui si supponeva che Hilary Robarts fosse morta?

E quella storia a proposito della madre... Non ci credeva. Non ci aveva creduto quando gliel'aveva raccontata, e adesso ci credeva ancora meno. Ma questo avrebbe potuto verificarlo. Esistevano gli investigatori privati; a Londra c'erano parecchie agenzie in grado di svolgere quel tipo di indagine. Era un pensiero che lo eccitava e lo sgomentava al contempo. L'idea di mettersi in contatto con loro, di pagarli perché la spiassero, lo sbalordiva per la sua stessa audacia. Caroline non si sarebbe mai aspettata che lui prendesse una simile iniziativa. Non se lo sarebbe aspettato nessuno. Ma perché non avrebbe dovuto farlo? Non c'era niente di cui vergognarsi. Ma prima doveva scoprire la sua data di nascita. Non era difficile: conosceva Shirley Coles, l'impiegata dell'ufficio personale di Larksoken, e aveva la sensazione di esserle abbastanza simpatico. Non gli avrebbe permesso di consultare il fascicolo di Caroline, ma certo sarebbe stata disposta a passargli un'informazione tanto innocua. Poteva dirle che voleva farle un regalo per il suo compleanno, e aveva l'impressione che la data fosse ormai prossima. Poi, con il nome e la data di nascita, avrebbe potuto facilmente rintracciare i suoi genitori. Sarebbe stato possibile scoprire se la madre era viva, dove abitava, in quale situazione economica si trovava. In biblioteca dovevano avere le Pagine gialle di Londra, e lì dovevano esserci elencate le agenzie investigative. Non avrebbe spedito la sua richiesta per lettera, meglio telefonare e informarsi di persona. Se fosse stato necessario, avrebbe anche chiesto un giorno di permesso e sarebbe andato a Londra. Devo sapere, pensò. Se è una menzogna, allora tutto lo è: la passeggiata sulla scogliera e quello che mi ha detto. Persino il suo amore.

Udì i due colpi alla porta. E con orrore scoprì che stava piangendo, silenziosamente, ma irrefrenabilmente. Gridò: «Vengo, vengo». Andò al lavabo e si sciacquò la faccia, poi si guardò allo specchio. Gli parve che la paura, la stanchezza e un profondo, inguaribile malessere dello spirito avessero annientato tutte le sue patetiche finzioni, e che la faccia comune e familiare fosse divenuta disgustosa per lui, tanto quanto doveva esserlo per Caroline. Fissò la propria immagine e la vide attraverso gli occhi di lei: i capelli di un bruno opaco, la forfora che gli shampoo quotidiani sembravano aggravare, gli occhi cerchiati di rosso e un po' troppo vicini, la fronte pallida su cui le pustole dell'acne spiccavano come le stigmate di un disonore sessuale.

Non mi ama e non mi ha mai amato, pensò. Mi ha scelto per due ragioni: perché sapeva che l'avrei amata e perché mi credeva troppo stupido per scoprire la verità. Ma non sono stupido, e la scoprirò.

Avrebbe incominciato dalla menzogna più piccola, quella sulla madre. E le sue bugie, invece? Quelle che lui stesso aveva raccontato ai genitori, il falso alibi alla polizia? Il suo: «Sono cristiano. Non è sempre facile». Non era più cristiano e forse non lo era mai stato. La sua conversione non era stata altro che il bisogno di venire accettato e preso sul serio da quel piccolo gruppo di zelanti proselitisti che, almeno, lo avevano apprezzato per ciò che era. Ma non era vero. Non era vero niente. In un giorno aveva scoperto che le due cose più importanti della sua vita, la religione e l'amore, erano pure illusioni.

Questa volta, i colpi alla porta si fecero più insistenti. «Jonathan?» chiamò sua madre. «Ti senti bene? Le braciole stanno diventando troppo cotte.»

«Vengo subito, mamma.»

Ma dovette sciacquarsi la faccia ancora per un minuto prima di riuscire ad assumere un aspetto normale, aprire la porta e presentarsi a tavola.

 

LIBRO V

Da martedì 27 settembre

a giovedì 29 settembre

 

33

 

Jonathan Reeves attese che la signora Simpson uscisse per la pausa del caffè, quindi varcò la soglia dell'ufficio dov'erano conservati i fascicoli del personale. Sapeva che i dati contenuti in quei documenti erano già stati immagazzinati nel computer, ma i fascicoli originali esistevano ancora, custoditi dalla signora Simpson come un repertorio di informazioni top secret. Era ormai in procinto di andare in pensione, e non si era mai rassegnata all'avvento degli elaboratori: per lei, l'unica realtà era quella scritta nero su bianco dentro la cartelletta di un fascicolo ufficiale. La sua assistente, Shirley Coles, una graziosa diciottenne del posto, era stata assunta da poco. Ovviamente era stata subito indottrinata circa l'importanza del direttore e dei capi dipartimento, ma non aveva ancora assimilato le leggi più sottili che permeano ogni organizzazione definendo coloro i cui desideri vanno presi sul serio indipendentemente dal grado e dall'anzianità, e coloro che è possibile ignorare regolarmente senza andare incontro ad alcun pericolo. Era una ragazza simpatica, servizievole e pronta a fare amicizia con tutti.

«Sono quasi sicuro che il suo compleanno è all'inizio del mese prossimo. So che i fascicoli sono riservati, ma a me basta la data di nascita. Se potesse dare un'occhiata e farmela sapere...» disse Jonathan.

Si rendeva conto di apparire goffo e nervoso, ma in quel caso fu un vantaggio: Shirley sapeva bene cosa significa sentirsi in quel modo.

«Solo la data di nascita, davvero. Non dirò a nessuno come l'ho avuta. Lei me l'aveva anche detta, ma io l'ho completamente dimenticata.»

«Non dovrei farlo, signor Reeves.»

«Lo so, ma non posso scoprirlo in nessun altro modo. Non vive in famiglia, quindi non posso domandarlo alla madre. Non vorrei che pensasse che ho scordato la sua festa...»

«Non può tornare quando c'è anche la signora Simpson? Immagino che glielo dirà. Io non posso aprire i fascicoli in sua assenza.»

«Ci ho pensato, sì, ma preferisco non farlo. La conosce, no? Temo che riderebbe di me. Per via di Caroline, s'intende. Pensavo che lei potesse capire il problema. Dov'è andata, la signora Simpson?»

«A prendere il caffè. Sta via sempre una ventina di minuti. Forse è meglio che lei vada alla porta, così mi dice se arriva qualcuno.»

Ma mentre Shirley andava all'armadio di sicurezza e cominciava a girare la manopola della combinazione, Jonathan Reeves si piazzò a lato dello schedario e rimase a guardare. «La polizia può consultare i fascicoli del personale, se lo richiede espressamente?»

«Oh, no, signor Reeves, non sarebbe regolare. Nessuno può farlo, tranne il dottor Mair e la signora Simpson. Sono riservati. La polizia, però, ha avuto quello della signorina Robarts. Il dottor Mair l'ha richiesto lunedì mattina presto, prima ancora che arrivassero gli agenti. Appena ha messo piede in ufficio ha chiamato per farselo portare. Gliel'ha consegnato personalmente la signora Simpson. Ma era diverso: la signorina Robarts è morta. Quando uno muore, non resta più nulla di privato.»

«No» convenne Reeves, «quando uno muore, non resta più nulla di privato.» Di colpo si rivide nella piccola casa di Romford, mentre aiutava la madre a sgombrare le cose del nonno, morto di un attacco cardiaco: i suoi vestiti dall'aria consumata e sporchiccia, la dispensa con la scorta di fagioli stufati, i piatti con i cibi ammuffiti, le riviste sconce che Jonathan aveva scoperto in fondo a un cassetto e che sua madre, rossa in volto, gli aveva strappato dalle mani. No, quando uno moriva, non restava proprio nulla di privato.

Voltandogli le spalle, Shirley disse: «Terribile, vero, questo delitto? Roba da non credere. E non la conoscevo nemmeno tanto bene. Per noi ha significato un sacco di lavoro in più, sa? La polizia ha voluto un elenco di tutti i dipendenti della centrale, con i relativi indirizzi, e a ognuno è stato consegnato un questionario per sapere dove si trovava la sera di domenica, e con chi. Be', ma questo lo sa, ne avrà ricevuto uno anche lei, no? L'abbiamo avuto tutti».

La serratura a combinazione era particolarmente delicata e sulle prime Shirley non riuscì ad aprire l'armadio. Oh, Dio, pensò Reeves, perché non si sbriga? Finalmente, l'anta si spalancò, rivelando il bordo di una cassetta metallica. La ragazza vi prelevò un mazzo di chiavi, tornò allo schedario, ne scelse una e la inserì nella serratura. Il cassetto scivolò verso l'esterno. Adesso anche lei sembrava contagiata dall'ansia. Lanciò un'occhiata alla porta e fece scorrere rapidamente i fascicoli.

«Ecco qui.»

Reeves si trattenne a stento dall'afferrarlo. Shirley aprì la cartelletta, da cui spuntò un modulo color camoscio come quello che Jonathan aveva compilato al proprio arrivo alla centrale: la domanda d'assunzione. Ciò che andava cercando gli stava ora davanti, nitidamente scritto a lettere maiuscole: Caroline Sophia St. John Amphlett, nata il 14 ottobre 1957 ad Aldershot, Inghilterra, nazionalità britannica.

Shirley richiuse il fascicolo, lo rimise a posto e richiuse il cassetto. Mentre girava la chiave, disse: «Non manca molto al quattordici ottobre, ha fatto bene a controllare. Dove andrete a festeggiare? Se il tempo si mantiene bello, potreste fare un picnic e un giro in barca...».

«Quale barca?» chiese Reeves, sorpreso. «Non abbiamo nessuna barca, noi.»

«Quella di Caroline. Ha comprato il vecchio cabinato del signor Hoskins, quello attraccato a Wells-next-the-Sea. Lo so perché lui aveva messo un cartello nella vetrina della signora Bryson, a Lydsett, e mio zio Ted ci aveva fatto un pensierino, dato che non costava molto. Ma quando ha telefonato, il signor Hoskins gli ha risposto che l'aveva già venduto alla signorina Amphlett di Larksoken.»

«Quand'è stato?»

«Tre settimane fa. Non gliel'ha detto?»

Reeves pensò: ecco un altro segreto, forse innocente ma comunque strano. Caroline non aveva mai mostrato il minimo interesse per le barche e il mare. Un vecchio cabinato in vendita a buon prezzo; ed era autunno, non certo il periodo migliore per compare un'imbarcazione.

Sentì la voce di Shirley: «Sophia è un bel nome. All'antica, ma a me piace. Però non le si addice molto, vero?».

Ma Jonathan aveva letto qualcosa di più del nome e della data di nascita: sotto i dati di Caroline, spiccavano i nomi dei suoi genitori. Padre: Charles Roderick St. John Amphlett, deceduto, ufficiale dell'esercito. Madre: Patricia Caroline Amphlett. Jonathan prese velocemente nota di nomi e date sul foglio del blocco che aveva portato con sé. Aveva dimenticato che i moduli d'assunzione fossero tanto dettagliati: una piacevole scoperta. Senza dubbio, con quelle informazioni un'agenzia investigativa avrebbe potuto rintracciare la madre senza troppe difficoltà.

La respirazione gli tornò normale solo quando vide le chiavi venire nuovamente depositate nell'armadio di sicurezza. Ma adesso che aveva ottenuto ciò che voleva, scappare via in tutta fretta gli sembrava un gesto scortese. Certo era anche importante andarsene prima che la signora Simpson tornasse e Shirley si sentisse domandare per quale motivo era venuto lì, trovandosi magari costretta a mentire. Decise dunque di trattenersi ancora un momento, mentre Shirley riprendeva posto alla scrivania e si metteva a giocherellare con una catenella di graffette fermafogli.

«Sono davvero sconvolta per il delitto, sa? Domenica ero proprio là, nel posto dov'è morta la signorina Robarts. Siamo andati a fare un picnic, in modo che Christopher potesse giocare sulla spiaggia. Eravamo io, la mamma, papà e Christopher. È il mio fratellino, ha solo quattro anni. Abbiamo parcheggiato la macchina sul promontorio, a cinquanta metri dal cottage della signorina Robarts, ma naturalmente non l'abbiamo vista. Non abbiamo visto nessuno in tutto il pomeriggio, tranne la signora Jago, da lontano. Era in bicicletta, stava senz'altro consegnando le riviste della parrocchia.»

«Lo ha detto alla polizia? Immagino sia un'informazione interessante, per loro. Voglio dire, gli interesserà sapere che non avete visto nessuno nei pressi del cottage» disse Jonathan.

«Oh, sì, infatti l'ho detto subito. Pensi, mi hanno persino domandato se Christopher non aveva per caso rovesciato un po' di sabbia sul sentiero. Ed era andata proprio così! Non è strano? Voglio dire, è strano che ci abbiano pensato.»

«E a che ora ci siete andati?»

«Be', non ci siamo fermati molto, siamo rimasti lì solo dall'una e mezzo alle tre e mezzo circa. Abbiamo mangiato in macchina. La mamma ha detto che non era la stagione più adatta per sedersi sulla spiaggia, che rischiavamo di inumidirci e prendere freddo. Poi abbiamo seguito il sentiero fino alla caletta, e Christopher ha fatto un castello di sabbia sulla battigia. Alla fine la mamma ha dovuto trascinarlo via di peso, poverino, si divertiva tanto. Papà ci aveva preceduti alla macchina, noi eravamo indietro. La mamma non voleva che Christopher portasse via la sabbia nel secchiello, mio padre si sarebbe arrabbiato se gli sporcava la macchina. Così gliel'ha fatta rovesciare per terra, sul sentiero. Dio, avreste dovuto sentire le sue urla: a volte quel bambino è diabolico. Comunque resta una cosa strana, no? Voglio dire, che siamo andati lì proprio il pomeriggio dell'omicidio.»

«E perché pensa che alla polizia interessi tanto la faccenda della sabbia?»

«È quello che vorrebbe sapere anche papà. Il detective, quello che è venuto qui e mi ha interrogato, ha detto che potrebbero trovare un'orma e che se fosse di uno di noi potrebbero escluderla a priori. Secondo papà, però, l'hanno già trovata. Due giovani investigatori, molto gentili, sono venuti ieri sera a parlare con i miei. Gli hanno chiesto che scarpe portavano, e hanno domandato il permesso di portarle via. Ecco, non l'avrebbero fatto se non avessero trovato Un'impronta, non è vero?»

«Dev'essere stata una grossa preoccupazione, per i suoi genitori» commentò Jonathan.

«Oh, no, no. In fondo, non siamo mica morti. Dopo aver lasciato il promontorio siamo andati a prendere il tè dalla nonna, a Hunstanton, e siamo venuti via che erano passate le nove e mezzo. La mamma diceva che per Christopher era anche troppo tardi. Però io continuo a ripetermi che è così strano pensare di essere stati lì proprio il giorno in cui succedeva una cosa tanto terribile. Se fosse stata uccisa qualche ora prima magari avremmo anche trovato il cadavere. Non credo che tornerò più in quella parte di spiaggia. Io non ci andrei mai, di notte, neppure per mille sterline. Avrei paura di incontrarci il suo fantasma. Ma la faccenda della sabbia mi sembra particolare, non crede anche lei? Voglio dire, se hanno trovato un'impronta e può servire per prendere l'assassino, sarà perché Christopher ha voluto giocare con la sabbia e la mamma l'ha costretto a rovesciare il secchiello sul sentiero. Una cosa così da poco... La mamma ha detto che tutta questa storia le ricorda il sermone che il vicario ha tenuto domenica scorsa, quando ha detto che anche le nostre azioni più piccole possono avere conseguenze immense. Io non ricordavo. Voglio dire, cantare in coro mi piace, ma i sermoni del signor Smollett sono di una noia mortale.»

Una cosa tanto piccola come un'impronta sulla sabbia. E se l'impronta era stata lasciata sulla sabbia versata dal secchiello di Christopher, significava che era stata lasciata da qualcuno che aveva percorso il sentiero dopo le tre e mezzo del pomeriggio di domenica.

«Quante persone lo sanno?» chiese Jonathan all'improvviso. «Ne ha parlato con qualcuno, polizia a parte?»

«No, no, con nessuno, tranne lei. Ci hanno raccomandato di non farne parola, e finora ho mantenuto la promessa. So che la signora Simpson era curiosa perché avevo chiesto di vedere l'ispettore capo Rickards: continuava a ripetere che non capiva cosa potevo avere da raccontare, e che non dovevo far perdere tempo prezioso alla polizia solo per mettermi in mostra e sembrare importante. Forse aveva paura che raccontassi della lite che aveva avuto con la signorina Robarts quando il fascicolo personale del dottor Gledhill era sparito, e poi si è saputo che ce l'aveva il dottor Mair. Però non lo dirà a nessuno, vero? Nemmeno alla signorina Amplilett?»

«No» promise Jonathan Reeves, «non lo dirò a nessuno. Nemmeno alla signorina Amphlett.»

 

34

 

Le Pagine gialle di Londra riportavano un elenco interminabile di agenzie investigative; scegliere era un'impresa più ardua del previsto. Optò per una delle più grandi, annotando su un foglietto il numero di telefono. Jonathan sapeva che non era il caso di chiamare dalla centrale, e d'altronde non voleva aspettare di essere a casa, dove la privacy sarebbe stata ancora minore. Ma non vedeva nemmeno l'ora di telefonare. Decise di mangiare un boccone in un pub della zona e di cercarsi una cabina lì intorno.

La mattina gli parve interminabile e a mezzogiorno in punto, dopo essersi assicurato di avere monete a sufficienza, uscì annunciando che desiderava pranzare presto. La cabina più vicina era in paese, vicino all'emporio. Si trovava in una zona decisamente esposta, ma dopotutto non aveva neppure bisogno di particolare segretezza.

Gli rispose una donna. Reeves si era già preparato il discorso, e la segretaria non parve trovare nulla di strano nella sua richiesta. Tuttavia, fu subito chiaro che non sarebbe stato facile come lui aveva sperato. Sì, l'agenzia poteva rintracciare una persona in base alle informazioni fornite, ma il compenso non era fisso. Tutto dipendeva dalla difficoltà e dal tempo necessario alle ricerche. Era impossibile persino fare un preventivo, finché non avesse inoltrato una richiesta ufficiale. Di certo non gli sarebbe costato meno di duecento sterline. La donna gli suggerì di scrivere immediatamente elencando tutte le informazioni in suo possesso e spiegando chiaramente cosa voleva. La lettera doveva essere accompagnata da un acconto di cento sterline. Si sarebbero occupati della cosa con la massima urgenza, ma non potevano dirgli a priori quanto tempo avrebbero impiegato per dargli una risposta. Jonathan la ringraziò, assicurò che avrebbe scritto e riappese. Era contento di non aver lasciato il suo nome. Si era illuso che accettassero le informazioni per telefono e che gli potessero fornire subito un preventivo, promettendogli un risultato rapido. Invece, era tutto troppo formale, troppo lento, troppo caro. Si chiese se non fosse il caso di fare un altro tentativo, ma pensò che in un campo come quello sarebbe stato alquanto difficile trovare offerte più allettanti da agenzie veramente degne di fiducia.

Mentre parcheggiava la macchina, di ritorno alla centrale, si era ormai quasi convinto di non farne nulla. Fu allora che gli venne in mente che avrebbe potuto indagare da solo: il cognome di Caroline era abbastanza raro, magari in tutto l'elenco di Londra c'era un solo Amphlett, e se non lo trovava a Londra poteva sempre tentare in qualche altro grosso centro. Inoltre, il padre era stato ufficiale: forse esisteva un annuario dell'esercito in cui andare a controllare. Ma certo, in fondo valeva la pena di fare qualche ricerca prima di addossarsi una spesa tanto onerosa; senza contare che il solo pensiero di scrivere all'agenzia investigativa lo metteva a disagio. Cominciò così a sentirsi vagamente cospiratore: un ruolo nuovo per lui, nuovo ed eccitante, che solleticava una parte della sua indole di cui aveva sempre ignorato l'esistenza. Avrebbe lavorato da solo, e se non avesse concluso nulla, gli sarebbe comunque rimasta sempre l'alternativa ufficiale.

Il primo passo fu straordinariamente diretto, e così semplice che arrossì per non averci pensato prima. Tornò in biblioteca e consultò l'elenco telefonico di Londra. C'era un P.C. Amphlett abitante in Pont Street, SW1. Rimase a fissare il nome per un momento, poi, con dita tremanti, prese nota del numero. Le iniziali erano quelle della madre di Caroline, ma non c'era nessun'altra indicazione. Poteva dunque trattarsi di un uomo, o di una semplice coincidenza; e Pont Street non gli diceva nulla, anche se SW1 non aveva l'aria di essere una zona povera di Londra. Ma Caroline gli avrebbe mai raccontato una bugia svelabile semplicemente consultando l'elenco del telefono? L'avrebbe fatto solo se fosse stata sicura di dominarlo, di averlo completamente in suo potere, solo se avesse considerato Jonathan uno stupido e un inetto senza speranza. Caroline aveva voluto un alibi e lui gliel'aveva fornito. E se invece fosse stata una menzogna? Se lui fosse andato in Pont Street e avesse scoperto che la madre di Caroline non viveva affatto in miseria...? Che altro c'era di vero, o di falso, in quanto gli aveva raccontato? A che ora si era recata sul promontorio in realtà, e a che scopo? Naturalmente, erano tutti sospetti che non osava prendere sul serio. L'idea che Caroline avesse ucciso Hilary Robarts era assurda. Ma perché allora non era stata disposta a raccontare la verità alla polizia?

Jonathan sapeva già quale sarebbe stata la prossima mossa. Mentre tornava a casa avrebbe telefonato al numero di Pont Street e avrebbe chiesto di Caroline. Così, almeno, avrebbe scoperto se corrispondeva all'indirizzo della madre. E se lo era, si sarebbe preso un giorno di permesso o avrebbe atteso fino al sabato seguente, inventandosi una scusa per passare un giorno a Londra e controllare di persona.

Anche il pomeriggio gli parve interminabile. Non riusciva a concentrarsi sul lavoro ed era preoccupato: temeva che Caroline potesse comparire da un momento all'altro per invitarlo al suo bungalow. Ma, a quanto sembrava, lei lo stava evitando, e in fondo era meglio così. Uscì con dieci minuti di anticipo, adducendo come pretesto un forte mal di testa, e dopo un quarto d'ora era di nuovo nella cabina telefonica di Lydsett. L'apparecchio squillò per quasi un minuto. Stava per desistere, quando qualcuno rispose. Una voce di donna ripeté il numero, lentamente, scandendo le cifre. Jonathan aveva deciso di adottare un accento scozzese; sapeva di essere un discreto imitatore, e la nonna materna era stata una vera scozzese, dunque non avrebbe faticato a risultare convincente. «La signorina Amphlett, per favore. Caroline Amphlett.»

Vi fu un lungo silenzio, poi la donna chiese in tono secco: «Chi parla?».

«Mi chiamo John McLean, siamo vecchi amici.»

«Davvero, signor McLean? Allora è strano che io non la conosca e che lei non sappia che la signorina Amphlett non abita più qui.»

«Potrebbe darmi il suo nuovo indirizzo, per favore?»

Un altro silenzio. Poi la voce riprese: «Non credo proprio, signor McLean. Ma se vuole lasciare un messaggio, provvederò a inoltrarlo».

«Parlo con la madre di Caroline?»

La voce rise. Non era una risata gradevole. «No, non sono la madre. Sono la signorina Beasley, la governante. Ma ha proprio bisogno di chiederlo?»

Jonathan pensò che al mondo potevano anche esistere due Caroline Amphlett e due madri di Caroline Amphlett con le stesse identiche iniziali. Però era una possibilità obiettivamente remota. Non restava che verificarlo in maniera diretta. «Caroline lavora ancora alla centrale di Larksoken?»

Questa volta non potevano esserci dubbi. La voce tradì una forte antipatia: «Se lo sa già, signor McLean, perché si è preso il disturbo di telefonarmi?».

Il ricevitore fu bruscamente riattaccato.

 

35

 

Erano le dieci e mezzo passate di martedì sera quando Rickards rimise piede a Larksoken Mill. Aveva annunciato la sua visita con una telefonata poco dopo le sei, e aveva dichiarato che, per quanto a tarda ora, si sarebbe trattato di una visita ufficiale: c'erano alcuni fatti che desiderava chiarire e una domanda rimasta in sospeso. Quel giorno Dalgliesh si era recato a Hoveton per rilasciare una deposizione dettagliata sul ritrovamento del cadavere di Hilary Robarts. Rickards non c'era e Oliphant, che stava per uscire, era stato costretto a trattenersi per riceverlo e l'aveva messo al corrente dell'andamento delle indagini, non proprio controvoglia ma con una certa formalità, quanto bastava per far intuire di aver ricevuto precise istruzioni in merito. Ora, mentre si sfilava la giacca e sedeva sulla stessa poltrona dall'alto schienale, a destra del camino, Rickards appariva un po' depresso. Indossava un gessato blu che, sebbene confezionato con una certa cura, aveva l'aria trasandata e derelitta del vestito di second'ordine; eppure, addosso a quella figura dinoccolata riusciva ancora a fare l'effetto della tenuta cosmopolita, soprattutto lì sul promontorio, dando l'impressione che l'ispettore stesse per recarsi a un matrimonio informale. L'antagonismo appena velato, l'amarezza causata dalla precoce morte del Fischiatore e persino l'energia irrequieta della domenica notte sembravano averlo completamente abbandonato. Dalgliesh si chiese se non avesse per caso parlato con il capo della polizia, ricavandone qualche consiglio. Sì, perché, se così era, poteva anche immaginarsi di quale consiglio si trattava: dello stesso che gli avrebbe dato lui.

"Certo è molto fastidioso che si trovi sul suo territorio, ma è uno degli investigatori più importanti della Polizia di Londra e il beniamino del commissario. E conosce questa gente. Era alla cena dei Mair. Ha trovato il cadavere. Ha informazioni utili, ed essendo uno stimato professionista non le nasconderà: ma lei le otterrà ancora più facilmente e renderà la vita più gradevole a tutti e due se la smetterà di trattarlo come un rivale o, peggio, un indiziato."

Mentre gli porgeva il whisky, Dalgliesh si informò sulle condizioni di salute della moglie.

«Sta bene, sta bene.» Ma il tono era un po' forzato.

«Immagino che tornerà a casa, adesso che il Fischiatore è morto.»

«Ci sarebbe da crederlo, no? Io sarei contento, e lei anche, ma c'è il problema di sua madre: non vuole che la sua agnellina resti coinvolta in una situazione tanto spiacevole, un omicidio! E proprio in questo momento...»

«È difficile tenersi lontani dalle situazioni spiacevoli, e persino dagli omicidi, quando si sposa un funzionario di polizia» commentò Dalgliesh.

«Infatti. Sua madre non avrebbe voluto che Susie sposasse un funzionario di polizia.»

Dalgliesh si sorprese di quel tono di amarezza. Ancora una volta provò la sensazione inquietante che l'ispettore fosse venuto a chiedergli un tipo di tranquillizzazione che meno di chiunque altro era in grado di dare. Mentre cercava una frase adatta con cui rispondergli, tornò a osservare l'aria stanca e quasi sconfitta dipinta sul volto dell'ispettore e le rughe che la luce guizzante del fuoco gli scolpiva ancora più profondamente in fronte; decise quindi di cercare rifugio nella praticità.

«Ha già cenato?» chiese.

«Oh, tirerò fuori qualcosa dal frigorifero quando tornerò a casa.»

«Se le va, mi è avanzato dello spezzatino. Ci vorrà un attimo a riscaldarlo.»

«Non dico di no, signor Dalgliesh.»

Rickards attaccò lo spezzatino reggendo il vassoio sulle ginocchia e mangiando voracemente, come se fosse il primo pasto dopo molti giorni. Quindi ripulì la salsa con un pezzetto di pane. Alzò gli occhi dal piatto soltanto una volta, per chiedere: «L'ha preparato lei, signor Dalgliesh?».

«Quando si vive soli, bisogna imparare a cucinarsi il minimo indispensabile, se non si vuole dipendere sempre da qualcun altro per uno dei bisogni primari della vita.»

«E a lei non piacerebbe, vero? Dipendere da qualcun altro per una cosa fondamentale, intendo.»

Questa volta parlò senza alcuna traccia di amarezza, mentre con un sorriso si alzava per riportare in cucina il vassoio vuoto. Dopo un secondo, Dalgliesh sentì scorrere l'acqua. Rickards lavava il piatto.

Doveva aver avuto più fame di quanto credesse; eppure Dalgliesh sapeva che, lavorando sedici ore al giorno, era molto facile illudersi di poter tirare avanti con un paio di sandwich e qualche tazza di caffè. Rickards tornò dalla cucina e si sedette con un borbottio soddisfatto. La sua faccia aveva ripreso colore e, quando parlò, la voce era tornata energica e incisiva.

«Il padre era Peter Robarts, lo ricorda?»

«No. Perché?»

«Così. Non lo ricordavo neppure io, ma ho avuto il tempo di controllare. Fece un bel mucchio di quattrini dopo la guerra, dove, fra parentesi, pare si fosse comportato piuttosto bene. Era uno di quei tipi pronti a cogliere al volo la buona occasione: nel suo caso, la plastica. Dev'essere stato un gran bel periodo per le persone intraprendenti, quello fra gli anni '50 e '60. Hilary era figlia unica. Lui fece fortuna in fretta e con la stessa rapidità la perse. Le solite ragioni: prodigalità, filantropia ostentata, donne, sperperi nella convinzione che la buona sorte non l'avrebbe mai abbandonato. Gli andò ancora bene che non finì in galera: l'antitruffa aveva messo insieme un bel dossier a suo carico, e stava per arrestarlo quando lui ebbe un attacco alle coronarie. Stramazzò con la faccia nel piatto, da Simpson, morto come l'anatra che stava mangiando. Per la figlia dev'essere stato difficile. Fino al giorno prima era la cocca di papà, per la quale niente era mai abbastanza... e poi, all'improvviso, la vergogna, la morte, la miseria.»

«Una miseria per modo di dire, ma fa lo stesso» commentò Dalgliesh. «Vedo che si è dato da fare.»

«Qualcosa, non molto, l'abbiamo saputo da Mair. Qualcosa abbiamo dovuto cercarlo noi. La polizia londinese ci ha aiutati. Ho parlato con Wood Street, mi dicevo che tutto ciò che riguardava la vittima poteva interessarci, ma adesso comincio a domandarmi se invece tutto questo rivangare non sia stato solo tempo perso.»

«È l'unico modo sicuro di procedere» lo rincuorò Dalgliesh. «La vittima muore perché è se stessa.»

«"E se capite la vita, capite la morte." Il vecchio Bianco White, lo ricorda? Ce lo ripeteva sempre, ai tempi in cui ero ancora un giovane detective. E alla fine cosa si ottiene? Un ammasso di fatti, come se si fosse rovesciato il cestino della carta straccia. Non è mai il vero ritratto di una persona. E su questa vittima in particolare abbiamo ben poco. Nel cottage non abbiamo trovato né diari, né lettere, a parte quella indirizzata al suo avvocato in cui chiedeva un appuntamento per il prossimo fine settimana, comunicandogli che stava per sposarsi. Siamo andati a parlargli. Non conosce il nome dell'uomo e sembra che non lo conosca nessuno, in giro, Mair incluso. Non abbiamo trovato altri documenti importanti, eccettuata una copia del testamento. E non è per niente sensazionale. Ha lasciato ad Alex Mair tutto ciò che aveva, in due righe di prosa avvocatesca. Ma io non credo che il dottor Mair possa averla ammazzata per dodicimila sterline e un cottage in stato di semiabbandono con un inquilino che non se ne vuole andare. A parte il testamento e quell'unica lettera, c'erano soltanto gli estratti conto della banca e le fatture pagate. La casa era in perfetto ordine, sembra quasi che la Robarts avesse rimesso tutto a posto perché sapeva di doversene andare. Nessun indizio lascia pensare che qualcuno abbia frugato nelle stanze: se c'era qualcosa che l'assassino voleva, e quindi ha sfondato la finestra per prenderlo, è riuscito a far sparire le proprie tracce molto abilmente.»

Dalgliesh disse: «Se ha dovuto sfondare la finestra per entrare, è probabile che non si trattasse di Mair: lui sapeva che la chiave era nel medaglione. Avrebbe potuto prenderla, usarla e rimetterla al suo posto. Ovviamente sarebbe stato un rischio tornare sulla scena del delitto, e alcuni assassini detestano l'idea di doversi riavvicinare al cadavere. Altri invece provano l'impulso irresistibile di farlo. Ma se Mair avesse preso la chiave avrebbe dovuto anche rimetterla al collo della vittima, nonostante il rischio: il medaglione vuoto sarebbe stato un grave indizio a suo carico».

«Cyril Alexander Mair, ma il Cyril si è perso per strada. Probabilmente penserà che sir Alexander suonerebbe meglio di sir Cyril. Cos'ha che non va quel nome? Mio nonno si chiamava così. A me non piace la gente che non usa il suo vero nome. A proposito, la Robarts era la sua amante.»

«L'ha detto lui?»

«Doveva farlo, no? Erano molto discreti, ma un paio dei principali collaboratori sospettava. Lui è troppo intelligente per nascondere informazioni che potremmo comunque scoprire da altri. Stando alla sua versione dei fatti, la relazione era stata troncata di comune accordo: Mair ha in progetto di trasferirsi a Londra, mentre la Robarts voleva restare qui. Avrebbe dovuto restare, a meno che non intendesse rinunciare all'impiego, e a quanto risulta era una donna che teneva molto alla carriera. Mair dice che i loro sentimenti non erano abbastanza solidi per essere tenuti in vita da incontri occasionali durante i fine settimana... sono parole sue, non mie. Evidentemente era una questione di convenienza. Finché è rimasto qui, ha avuto bisogno di una donna, e lei aveva bisogno di un uomo. La merce dev'essere a portata di mano, non ha senso essere a centosessanta chilometri di distanza. È un po' come andare dal macellaio a comprare la carne: lui sta per trasferirsi a Londra, lei aveva deciso di restare, dunque bisognava che cambiassero negozio.»

Dalgliesh ricordava che Rickards era sempre stato leggermente rigido e inibito nei confronti del sesso. Faceva l'investigatore da vent'anni e dunque non poteva non aver incontrato adulteri e amanti di ogni genere, senza contare tutte le manifestazioni della sessualità umana a cui doveva essersi trovato di fronte, dalle più buffe alle più agghiaccianti, al confronto delle quali l'adulterio risultava di una normalità addirittura rassicurante. Ma ciò non significava che li approvasse. Come poliziotto, aveva pronunciato un giuramento, e lo rispettava. In chiesa aveva pronunciato voti che senza dubbio intendeva onorare e in un lavoro in cui gli orari irregolari, l'alcol, il cameratismo maschilista e la vicinanza delle donne poliziotto rendevano quanto mai vulnerabili anche i matrimoni più sicuri, era universalmente risaputo che il suo non cedeva. Rickards aveva troppa esperienza ed era troppo obiettivo per lasciarsi fuorviare dai pregiudizi, ma quando gli erano state affidate le indagini sul caso Robarts, la fortuna aveva abbandonato Alexander Mair almeno sotto un punto di vista.

«La segretaria della Robarts, Katie Flack» disse, «aveva appena dato il preavviso. La giudicava troppo esigente. C'era stato anche un litigio, perché stava via più di un'ora per il pranzo. E uno degli altri collaboratori, Brian Taylor, ha ammesso che era impossibile lavorare per lei, e aveva chiesto il trasferimento. È stato molto franco. Poteva permetterselo: la sera del delitto si trovava a una festa organizzata da un amico al Maid's Head di Norwich, dalle otto in poi ha almeno dieci testimoni. Anche la Flack non ha motivo di preoccuparsi: ha passato la serata davanti alla TV con i suoi.»

«Soltanto con i suoi?»

«No. Fortunatamente i vicini hanno fatto un salto per discutere dell'abito per il matrimonio della figlia. Katie sarà una delle damigelle: abiti giallo limone con bouquet di piccoli crisantemi bianchi e gialli. Molto di buon gusto, trovo. Ci ha fatto una descrizione completa; immagino che per lei simili dettagli accrescessero la credibilità dell'alibi... Comunque, né lei, né questo Taylor erano veramente sospettati. Di questi tempi, se il tuo capo non ti piace non fai altro che mollare il lavoro. Naturalmente erano tutti e due sconvolti, e un po' sulla difensiva. Devono aver pensato che si sia fatta ammazzare apposta per metterli nelle grane. Bene, battute a parte, nessuno di loro si è sforzato di indorare la pillola e spacciarsi per affezionato. Ma in questo omicidio c'è qualcosa di più forte dell'antipatia. E una cosa potrà sorprenderla, signor Dalgliesh: presso i dirigenti la Robarts non era impopolare: loro rispettano l'efficienza, e lei ne aveva da vendere. E le sue responsabilità non intralciavano i loro passi. Aveva il compito di fare in modo che la centrale fosse amministrata a dovere e che il personale tecnico e scientifico potesse lavorare nelle condizioni più idonee. A quanto pare ci riusciva. Hanno risposto alle mie domande senza difficoltà, ma non sono stati molto loquaci. Fra loro esiste una sorta di solidarietà cameratesca, e immagino che a furia di sentirsi perennemente criticati e attaccati si finisca per diventare diffidenti nei contatti con gli estranei. Uno solo ha confessato di detestarla veramente: Miles Lessingham. Ma ha una specie di alibi. Dice che all'ora dell'omicidio era fuori in barca. E non ha nemmeno tentato di nascondere i propri sentimenti: non gli andava di mangiare né di bere con lei, non ci avrebbe trascorso un solo minuto del suo tempo libero. Però, come ha tenuto a far notare, la pensa allo stesso modo di molte altre persone, e non per questo sente il desiderio di ammazzarle.» Rickards tacque per un momento, poi aggiunse: «Il dottor Mair le ha fatto visitare la centrale venerdì mattina, no?».

«Gliel'ha detto lui?»

«Il dottor Mair non mi ha detto niente che non dovesse dirmi, no. È saltato fuori mentre parlavo con un'impiegata, una ragazza del posto che lavora nell'ufficio del personale. Piuttosto loquace. Ho saputo molte cose utili da lei. Mi chiedevo se per caso durante la sua visita non era successo qualcosa di importante...»

Dalgliesh dovette resistere alla tentazione di rispondere che se era successo qualcosa di importante non avrebbe certo aspettato a dirlo. «È stata una visita interessante. La centrale è un luogo per molti versi straordinario. Il dottor Mair ha cercato di spiegarmi che differenza passa fra un reattore termico e il nuovo reattore ad acqua pressurizzata. È stata una conversazione tecnica, la nostra, tranne per un paio di accenni alla poesia. Miles Lessingham mi ha mostrato la macchina da cui si è buttato Toby Gledhill. Vede, pensavo che questo suicidio potesse avere qualche attinenza con il caso Robarts, ma in realtà è molto improbabile. È logico che il signor Lessingham ne sia rimasto sconvolto, e non solo per avervi assistito. Alla cena in casa Mair, tra lui e Hilary Robarts, si è svolto un dialogo piuttosto enigmatico.»

Rickards si protese in avanti, stringendo nella sua enorme mano il bicchiere di whisky. Senza alzare gli occhi, disse: «La cena dai Mair. Ho l'impressione che quel piccolo incontro fra amici sia il perno attorno al quale gravita il delitto. E c'è qualcosa che volevo chiederle. Sono venuto anche per questo. La ragazzina, Theresa Blaney... Quanto e che cosa ha ascoltato esattamente della conversazione sull'ultima vittima del Fischiatore?».

Era la domanda che Dalgliesh si aspettava. Lo sorprendeva soltanto che Rickards ci avesse impiegato tanto a tirarla fuori.

«Ne ha sentita una parte, senza dubbio» rispose cautamente. «Ma come faccio a sapere con esattezza quanto tempo è rimasta nascosta dietro la porta della sala, prima che la notassi? Dunque, come ho già avuto occasione di dire, non so nemmeno quanto abbia recepito della conversazione.»

«Ricorda a che punto del racconto era arrivato Lessingham quando lei ha visto Theresa?»

«Non ne sono sicuro, ma credo stesse descrivendo il cadavere... quello che aveva visto una volta tornato indietro con la torcia elettrica.»

«Quindi Theresa potrebbe aver sentito il particolare dello sfregio e dei peli pubici?»

«Ma pensa che avrebbe trovato il coraggio di riferire anche questo al padre? La madre era una cattolica molto religiosa. Non conosco bene la ragazzina, ma immagino sia piuttosto pudica. E una figlia tanto modesta e beneducata secondo lei sarebbe andata a raccontare una cosa simile a un uomo, anche se si tratta del padre?»

«Beneducata? Modesta? Lei è in arretrato di mezzo secolo, signor Dalgliesh. Provi a passare una mezz'ora sul campo giochi di una qualunque scuola secondaria e sentirà cose da far rizzare i capelli in testa. Oggi i ragazzi sono capaci di dire qualunque cosa a chiunque.»

«Quella ragazzina no.»

«D'accordo, ammettiamolo. Ma potrebbe aver parlato al padre dello sfregio a L, e lui avrebbe potuto intuire il dettaglio dei peli. Accidenti, tutti sapevano che i delitti del Fischiatore dovevano avere una connotazione sessuale. Non violentava le sue vittime, ma si divertiva così. Non c'è bisogno di essere Krafft... come si chiama?»

«Krafft-Ebing.»

«Sembra il nome di un formaggino... Comunque, non c'è bisogno di essere Krafft-Ebing, e nemmeno di essere molto sofisticati per indovinare che genere di peli preferisse il Fischiatore.»

«Ma questo è importante se lei vede in Blaney il principale indiziato, no? Tuttavia, Blaney o chiunque altro avrebbe ucciso in quel modo se non fosse stato assolutamente certo della procedura seguita dal Fischiatore? Poteva sperare di far ricadere la colpa su di lui solo se tutti i dettagli si fossero rivelati esatti al cento per cento. Quindi, se lei non può provare il fatto che Theresa ha parlato al padre rivelandogli il particolare dei peli pubici e dello sfregio a L, le sue argomentazioni risulteranno deboli. E non credo che siano comunque forti, sa? Inoltre, mi pare che Oliphant abbia detto che Blaney aveva un alibi, sia da parte della signorina Mair, la quale ha affermato che alle nove e tre quarti si trovava a casa, ubriaco, sia da parte della figlia, Theresa, per l'appunto. Non ha forse detto di essere andata a letto alle otto e un quarto e di essere tornata giù poco prima delle nove per bere un bicchier d'acqua?»

«Infatti, signor Dalgliesh, questo è quanto ha sostenuto. Ma mi creda: quella ragazzina confermerebbe qualunque cosa dica il padre. E i tempi sono così precisi, da ispirare quasi sospetto. La Robarts muore alle nove e venti o giù di lì; Theresa Blaney va a letto alle otto e un quarto, e molto opportunamente sente il bisogno di bere un po' d'acqua intorno alle nove. Vorrei tanto che anche lei l'avesse vista, signor Dalgliesh, e che avesse visto quel cottage. Ma lei li ha visti, certo, dimenticavo. Erano con me due donne poliziotto del dipartimento minorenni. È stata trattata delicatamente, come una neonata, anche se non ce n'era affatto bisogno. Ci siamo seduti intorno al fuoco, lei teneva in braccio il fratellino. Ha mai provato a interrogare una ragazzina per scoprire se suo padre è un assassino, mentre lei ti spalanca addosso due occhioni pieni di rimprovero e dà il biberon al fratellino minore? Ci ha mai provato? Ho suggerito che lo passasse a una delle due donne poliziotto, ma appena questa ha cercato di prenderlo in braccio si è messo a strillare come un ossesso. Non si è lasciato prendere nemmeno dal padre. Sembrava che si fosse messo d'accordo con Theresa. In più, per tutto il tempo è rimasto lì anche Ryan Blaney, naturalmente. Non si può escludere il genitore di un minorenne dall'interrogatorio, se desidera presenziare: questo lo sa anche lei, no? Be', signor Dalgliesh, il giorno che arresterò il colpevole di questo omicidio, spero proprio non sia Ryan Blaney. Quei ragazzini hanno già perso la madre, mi sembra più che sufficiente. Ma lui, purtroppo, aveva un ottimo movente, e odiava la Robarts. Non potrebbe mai nascondere il suo odio, e infatti non mi pare nemmeno che ci provi. La Robarts stava cercando di buttarlo fuori da Scudder's Cottage, ma c'è anche dell'altro. Non so ancora di cosa si tratti, ma lo scoprirò. Forse qualcosa legato alla moglie morta, chissà. L'ultima cosa che ha detto, accompagnandoci alla macchina, è stata: "Era una carogna e sono contento che sia morta. Ma non l'ho uccisa io, e lei non può provare il contrario".

«So quali sono le obiezioni, signor Dalgliesh. Jago sostiene di aver telefonato alle sette e mezzo per fargli sapere che il Fischiatore era morto. Ha parlato con Theresa e la ragazzina afferma di averlo riferito al padre. Non aveva nessun motivo per non dirglielo. Lui non avrebbe lasciato i figli soli nel cottage finché il Fischiatore era vivo e in circolazione. Nessun padre con un minimo di coscienza lo avrebbe fatto, e tutti ammettono che Ryan Blaney è un padre coscienzioso. A questo proposito abbiamo la conferma delle autorità locali: due settimane fa hanno mandato un'assistente sociale a controllare che tutto fosse a posto. E sa chi l'aveva richiesto? È un particolare interessante, mi conceda: era stata la Robarts.»

«Aveva mosso qualche accusa specifica?»

«No. Di tanto in tanto si recava al cottage per discutere dei piccoli lavori di manutenzione, e così aveva finito per preoccuparsi per le responsabilità di Blaney. Pensava che magari avrebbe potuto avere bisogno di un aiuto. Diceva di aver visto Theresa portare a casa la spesa in borse pesanti, con le due gemelle a rimorchio, quando invece doveva trovarsi a scuola. Allora ha telefonato alle autorità locali perché mandassero un'assistente a dare un'occhiata. L'assistente è arrivata, ha accertato che le condizioni erano soddisfacenti e decorose nei limiti del possibile, e che le gemelle frequentavano un campo ricreativo, un gruppo di gioco. Così si è offerta di dare una mano, ma Blaney non era affatto entusiasta. E non posso dargli torto: nemmeno io vorrei avere fra i piedi quelli dell'assistenza pubblica.»

«E Blaney sa che la visita era stata richiesta dalla Robarts?»

«Le autorità locali non gliel'hanno detto, no, non lo fanno mai. E non so come avrebbe potuto scoprirlo altrimenti. Ma se l'aveva saputo, in un modo o nell'altro, questo non farebbe che rafforzare il suo movente. Potrebbe essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.»

«Ma l'avrebbe uccisa in quel modo? Sapendo che il Fischiatore era morto, a rigor di logica avrebbe dovuto rifuggire dal suo metodo, non le pare?»

«Non è detto, signor Dalgliesh, non è detto. Supponiamo che sia un doppio bluff. Supponiamo che in pratica stia dicendo: "Vedete, posso dimostrare che sapevo che il Fischiatore era morto. Chi ha ucciso Hilary Robarts non lo sapeva. E allora, perché non cercate qualcuno che ignorava il ritrovamento del suo cadavere?". E per Dio, signor Dalgliesh, c'è anche un'altra possibilità. Ammettiamo che sapesse che il Fischiatore era morto, ma che ritenesse la sua morte un fatto molto recente. Ho chiesto a Theresa cosa le aveva detto esattamente George Jago. Lo ricordava con precisione, e Jago ha confermato: "Di' al tuo papà che il Fischiatore è morto. Si è ucciso. Proprio adesso, a Easthaven". Ma non ha parlato dell'albergo, non ha detto quando il Fischiatore aveva preso la stanza, perché George Jago non lo sapeva. L'informazione che ha avuto dall'amico proprietario del Crown & Anchor era un po' confusa. Dunque Blaney potrebbe aver creduto che il cadavere fosse stato ritrovato in aperta campagna, a pochi chilometri da casa sua, e che quindi poteva uccidere impunemente: tutti, polizia compresa, avrebbero pensato che il Fischiatore aveva fatto la sua ultima vittima per poi suicidarsi nei paraggi. Sarebbe stato anche plausibile, signor Dalgliesh, non trova?»

Dalgliesh pensava che sì, sarebbe stato anche plausibile, ma poco convincente. «Quindi lei parte dal presupposto che il ritratto rovinato non abbia un legame diretto con l'omicidio. Eppure, io non credo che Blaney avrebbe distrutto con tanta leggerezza la sua opera.»

«Perché no? Da quello che ho visto non mi è sembrato niente di speciale.»

«Forse per lei non lo era, ma per lui sì.»

«Il ritratto è un enigma, lo ammetto. E non è nemmeno l'unico. Qualcuno ha bevuto con la Robarts prima che lei si recasse a fare la sua ultima nuotata notturna; qualcuno che aveva fatto entrare nel cottage, qualcuno che conosceva bene. C'erano due bicchieri nello scolapiatti, e secondo me questo significa che a bere sono state due persone. Ma la Robarts non avrebbe certo invitato Blaney a casa sua, e se lui si fosse presentato di spontanea volontà, non credo che l'avrebbe lasciato entrare.»

«Ma se crediamo alla signorina Mair» disse Dalgliesh, «l'accusa nei confronti di Blaney crolla comunque. La signorina Alice afferma di averlo visto allo Scudder's Cottage alle nove e tre quarti o poco più tardi. E allora era mezzo ubriaco. D'accordo, poteva simulare, non gli dovrebbe riuscire difficile. Però non poteva uccidere Hilary Robarts verso le nove e venti ed essere a casa per le nove e tre quarti senza avere una macchina o un furgone: e noi sappiamo che non aveva nessuno dei due.»

«Ma poteva avere una bicicletta.»

«Avrebbe dovuto pedalare molto in fretta. Sappiamo che la Robarts è morta dopo il bagno in mare, non prima. Aveva i capelli ancora umidi, quando io l'ho trovata. Quindi, per sicurezza, si può dire che la morte è avvenuta fra le nove e un quarto e le nove e mezzo. E Blaney non avrebbe potuto andare là in bicicletta e tornare lungo la riva: c'era l'alta marea. Avrebbe quindi dovuto procedere sulla striscia di ghiaia, molto meno praticabile della strada. C'è un solo tratto di spiaggia su cui resta un po' di sabbia anche durante l'alta marea, ed è proprio la caletta in cui andava a nuotare la Robarts. Se fosse stato sulla strada, la signorina Mair l'avrebbe visto. Insomma, gli ha fornito un alibi che ritengo quasi impossibile smontare.»

«Ma Blaney non ha a sua volta fornito un alibi alla signorina Mair, vero? Lei ha affermato di essere rimasta sola al Martyr's Cottage fino a quando ha deciso di andare a ritirare il ritratto, poco dopo le nove e mezzo. Insieme alla governante della Vecchia Canonica, la signora Meg Dennison, è l'unica persona che ha partecipato alla famosa cena di giovedì sera che non abbia cercato di costruirsi un alibi. Eppure, anche la signorina Mair avrebbe un potenziale movente: Hilary Robarts era l'amante del fratello. Lo so, Mair dice che era tutto finito, ma abbiamo solo la sua parola. Supponiamo che avessero deciso di sposarsi quando lui si fosse trasferito a Londra. Alice Mair ha dedicato tutta la vita al fratello, non si è mai sposata, non ha altro sfogo per i suoi sentimenti: perché cedere il passo a un'altra donna proprio quando Mair sta per realizzare le sue grandi ambizioni?»

Dalgliesh pensò che in fondo si trattava di una spiegazione alquanto semplicistica di un rapporto che, in quel breve periodo dal giorno in cui si erano conosciuti, gli era parso invece molto complesso. «È una scrittrice affermata» ribatté. «Immagino che il successo le offra una forma di gratificazione psicologica, ammesso che ne abbia bisogno. A me è sembrata una donna decisamente autosufficiente.»

«Mi pareva scrivesse libri di cucina. Secondo lei questo significa essere un'autrice affermata?»

«I libri di Alice Mair sono molto apprezzati, e le rendono parecchio. Pubblichiamo presso lo stesso editore: se dovesse scegliere, probabilmente preferirebbe perdere me.»

«Dunque pensa che un eventuale matrimonio di Alex potrebbe quasi essere un sollievo, per lei? Perché in questo modo si sentirebbe alleggerita della responsabilità nei suoi confronti? Perché ci sarebbe un'altra donna a cucinare e a prendersi cura di lui?»

«Perché dovrebbe avere bisogno di una donna che si prenda cura di lui? No, non esageriamo a costruire teorie sulle persone e sui loro sentimenti. Comunque, non direi che Alice Mair provi un senso di responsabilità quasi materno, così come non mi pare che suo fratello ne abbia bisogno.»

«E allora come vede il loro rapporto? Dopotutto, vivono quasi sempre insieme. E la signorina Mair gli è affezionata: su questo sembra siano tutti d'accordo.»

«Se non fossero affezionati, certo non potrebbero vivere insieme, anche se usare questa espressione mi sembra eccessivo. Lei è spesso via per ricerche gastronomiche, lui ha un appartamento a Londra. Com'è possibile che una persona che li ha visti insieme una volta sola possa arrivare al cuore del loro rapporto? Per quello che mi riguarda, sono solo impressioni. Mi sembra che tra loro ci siano lealtà, fiducia e rispetto reciproco: il resto farebbe meglio a chiederlo ai diretti interessati.»

«Dunque non ha lasciato trapelare gelosia nei confronti del fratello e della sua amante?»

«Be', se anche ne prova, è molto abile a nasconderla.»

«Sta bene, signor Dalgliesh, prendiamo un'altra possibilità. Supponiamo che Mair si fosse stancato della Robarts, che lei insistesse a volerlo sposare e meditasse di lasciare la centrale per seguirlo a Londra. Supponiamo che fosse diventata fastidiosa, insopportabile. Alice Mair non si sarebbe sentita in dovere di intervenire?»

«Per esempio ideando e perpetrando un omicidio singolarmente ingegnoso per liberare il fratello da una seccatura in fondo temporanea? Non le sembra di spingere un po' troppo in là una pur forte devozione di sorella?»

«Ah, certo, ma le donne così decise non sono solo seccature temporanee, no? Quanti uomini conosce che sono stati costretti a un matrimonio indesiderato perché la volontà della donna era più forte della loro? O perché non sopportavano le chiassate, le lacrime, le recriminazioni, i ricatti sentimentali?»

«La Robarts non poteva ricattarlo sulla loro relazione. Nessuno dei due era sposato. Non tradivano nessuno e non davano scandalo. Non riesco a credere che qualcuno, uomo o donna che sia, possa costringere Alex Mair a fare qualcosa controvoglia. Lo so, trinciare giudizi a priori è pericoloso, anche se è proprio quello che stiamo facendo noi, ma mi sembra che Alex Mair viva la vita a modo suo, e credo che l'abbia sempre fatto.»

«E questo potrebbe farlo incattivire se qualcuno cercasse di fermarlo.»

«Dunque adesso lo vede come un altro potenziale assassino?» chiese Dalgliesh.

«Lo vedo come fortemente sospetto, ecco tutto.»

«E i due della roulotte? Esiste qualche prova che anche loro conoscessero i metodi del Fischiatore?»

«No, per quel che ne sappiamo finora. Ma come si fa a esserne sicuri? L'uomo, Neil Pascoe, gira con il furgone e beve nei pub della zona. Potrebbe aver sentito qualche discorso, sa, le chiacchiere di paese. Non tutti i poliziotti che si occupavano del caso si sono comportati con la massima discrezione del mondo... Abbiamo fatto in modo che i dettagli non arrivassero fino ai giornali, ma ciò non significa che non se ne sia parlato in assoluto. Pascoe ha una specie di alibi. Dice di essersi recato con il furgone qualche chilometro a sud di Norwich per incontrare un tale che gli aveva scritto esprimendo interesse per il PANUP, la sua associazione antinucleare. Sembra che nutrisse la speranza di fondare un nuovo gruppo. Ho mandato due agenti a controllare. L'uomo afferma di essere rimasto con Pascoe fino a un po' più tardi delle otto e venti. È stato a quell'ora che Pascoe ha annunciato di dover rincasare, o almeno la sua intenzione di farlo. La ragazza che vive con lui, Amy Camm, ha confermato che sarebbe rientrato prima delle nove, e che avrebbero passato insieme il resto della serata. Secondo me, invece, è arrivato alla roulotte un po' più tardi. Con quel furgone, per coprire il tragitto da Norwich a Larksoken in quaranta minuti avrebbe dovuto premere oltremodo l'acceleratore. Senza contare che Neil Pascoe ha uno dei moventi più forti di tutti. Se Hilary Robarts avesse insistito con la querela per diffamazione, l'avrebbe di certo rovinato. E la Camm ha tutto l'interesse a confermargli l'alibi: si è comodamente sistemata in casa sua con il bambino, e adesso vive alle sue spalle. E le dirò un'altra cosa, signor Dalgliesh: una volta avevano un cane. Il guinzaglio è ancora appeso all'interno della porta della roulotte.»

«Ma se uno di loro o tutti e due l'avessero veramente usato per strangolare la Robarts, pensa che sarebbe ancora lì?»

«Qualcuno avrebbe potuto fare caso al fatto che era improvvisamente scomparso, dunque non è escluso che abbiano ritenuto più saggio non dare nell'occhio e tenerlo dov'è sempre stato. Naturalmente l'abbiamo portato via, ma è stata poco più di una formalità: l'epidermide della Robarts non presentava alcuna lacerazione. Non troveremo tracce di tessuto epiteliale, e se ci saranno impronte, non potranno che corrispondere a quelle di Pascoe e della Camm. Continueremo a controllare gli alibi, ovviamente, e intanto stiamo procedendo con quelli dei dipendenti di Larksoken. Sono più di cinquecento, maledizione. Roba da non credere, eh? Si entra alla centrale, e quasi si stenta a vedere anima viva. Sembra che si muovano silenziosamente come l'energia che producono, e altrettanto invisibilmente. Abitano quasi tutti a Norwich o a Cromer, immagino ci tengano a essere vicini alle scuole e ai negozi. Pochi hanno scelto di vivere nei pressi della centrale. La maggior parte dei turnisti domenicali diurni sono rincasati prima delle dieci di sera, hanno guardato la televisione o sono usciti con gli amici. Controlleremo se sul lavoro avevano a che fare con la Robarts, ma anche questa è una formalità. So dove cercare i miei sospetti: fra i presenti alla cena in casa Mair. Visto che Lessingham non è stato capace di tenere la bocca chiusa, sono venuti a conoscenza di due fatti fondamentali: che nella bocca della vittima erano infilati peli pubici, non capelli, e che il segno sulla fronte era una L. Questo restringe di molto il campo: Alexander e Alice Mair, Margaret Dennison, Lessingham e, supponendo che Theresa abbia riferito la conversazione al padre, Ryan Blaney. Certo, può essere che non riesca a smontare il suo alibi, o quello di Mair, ma ci proverò lo stesso.»

Dieci minuti più tardi, l'ispettore capo Rickards si alzò annunciando che era venuto il momento di tornare a casa. Dalgliesh lo accompagnò alla macchina. Le nubi erano basse e il cielo e la terra apparivano immersi nella stessa fitta oscurità. Soltanto il freddo luccichio della centrale sembrava vicino e sul mare si stendeva una pallida coltre azzurrina, simile a una via lattea. In quel buio impenetrabile, persino il contatto del terreno sotto la pianta dei piedi procurava un senso di disorientamento. Per qualche secondo, i due uomini esitarono come se quei dieci metri che li separavano dalla macchina, lucida come un'astronave al chiarore filtrato dalla porta aperta, nascondessero un'odissea di pericoli e insidie. Sopra di loro, le pale del mulino splendevano candide e silenziose, cariche di una forza latente. Per un attimo Dalgliesh ebbe l'illusione che fossero in procinto di mettersi a girare. Poi Rickards disse:

«Su questo promontorio regnano i contrasti. Stamattina, quando ho lasciato la roulotte di Pascoe, mi sono fermato su quelle basse scogliere e ho guardato verso sud. Non c'erano altro che un vecchio peschereccio, un rotolo di corda, una cassa rovesciata e quel mare orribile. Ho pensato che doveva essere così da quasi mille anni. Poi mi sono girato verso nord, e ho visto quell'enorme centrale. Eccola là, luccicante e splendente. Adesso sono qui a osservarla da sotto le pale di un antico mulino a vento. A proposito, funziona?»

«Dicono di sì» rispose Dalgliesh. «Le pale girano, solo che non macinano più. Le mole sono situate nella camera inferiore. Ogni tanto provo il desiderio di vedere le pale girare adagio adagio, ma resisto. Non so se, una volta messe in moto, riuscirei mai a fermarle. Sarebbe irritante sentirle cigolare tutta la notte.»

Avevano raggiunto la macchina, ma Rickards, fermo con la mano sulla portiera, sembrava riluttante a salire. «Abbiamo fatto molta strada, eh, dal mulino a vento alla centrale nucleare? Che distanza c'è? Meno di sette chilometri di promontorio e trecento anni di progresso. Poi penso a quei due cadaveri all'obitorio e mi domando se il progresso c'è stato davvero. Mio padre parlerebbe di peccato originale. Era un predicatore laico, aveva una spiegazione per tutto.»

Anche il mio, pensò Dalgliesh. «Fortunato lui» disse invece. Vi fu un attimo di silenzio, rotto dall'improvviso squillo del telefono. Il suono, insistente, giunse alle loro orecchie attraverso la porta aperta. «È meglio che aspetti un momento» disse Dalgliesh. «Potrebbe essere per lei.»

Infatti era così. La voce di Oliphant chiese se l'ispettore capo si trovava lì: lo aveva cercato senza esito a casa sua, poi aveva tentato con alcuni numeri che gli erano stati lasciati.

Fu una conversazione breve, meno di un minuto. Poi Rickards ricomparve: la lieve malinconia degli ultimi minuti era sparita, il passo si era fatto scattante.

«Poteva aspettare fino a domani, ma Oliphant ci teneva a comunicarmelo subito. Potrebbe essere proprio quello di cui avevamo bisogno: hanno telefonato dal laboratorio, si vede che hanno sgobbato senza un attimo di pausa. Oliphant le avrà detto, immagino, che abbiamo trovato un'impronta.»

«Sì, me ne ha accennato. Sul lato destro del sentiero, in un punto in cui c'era della sabbia morbida. Non mi ha riferito altri particolari.» E lui, che non intendeva discutere un caso con un subordinato in assenza di Rickards, non ne aveva chiesti.

«Abbiamo appena ricevuto la conferma: è la suola di una scarpa da ginnastica Bumble, una scarpa destra. Il fregio sulla suola è inconfondibile, con un'ape sul tacco. Le avrà viste senz'altro, da qualche parte...» Dopo una pausa in cui da parte di Dalgliesh non giunse alcuna risposta, riprese: «In nome di Dio, signor Dalgliesh, non mi dica che ne ha un paio anche lei! È una complicazione di cui farei volentieri a meno».

«No, non ne ho un paio. Le Bumble sono un po' troppo alla moda per i miei gusti. Ma ne ho visto un paio di recente, proprio qui, sul promontorio.»

«Chi le aveva ai piedi?»

«Nessuno.» Dalgliesh rifletté per un momento, poi disse: «Ora ricordo. Mercoledì mattina, il giorno dopo il mio arrivo, ho portato vari indumenti di mia zia, incluse due paia di scarpe, alla Vecchia Canonica, per la vendita di beneficenza della chiesa. Tengono due grandi ceste in una sorta di retrocucina, dove la gente può lasciare le cose che non servono più e che andranno in beneficenza. La porta sul retro era aperta, come sempre di giorno, quindi non ho bussato. Fra le altre scarpe c'era anche un paio di Bumbìe. O meglio, quello che ho visto è stato proprio il tacco di una scarpa: suppongo ci fosse anche l'altra, ma non l'ho vista.»

«Era in cima al mucchio?»

«No, a circa un terzo dell'altezza. Mi pare fossero in un sacchetto di cellophane trasparente. Come ho già detto, non le ho viste tutte e due, ma ho riconosciuto l'ape gialla su un tacco. Può darsi che fossero quelle di Toby Gledhill. Lessingham ha detto che calzava un paio di Bumble, quando si uccise.»

«E lei ha lasciato le scarpe dove si trovavano. Si rende conto dell'importanza di quello che dice, signor Dalgliesh?»

«Sì, me ne rendo conto. Certo che le ho lasciate lì. Ero andato per consegnare un po' di roba, non per rubarla.»

«Se era un paio completo, come il buon senso suggerirebbe, allora chiunque potrebbe essersene impossessato. E se non sono più nella cesta, allora di sicuro qualcuno le ha prese.» Rickards lanciò un'occhiata al quadrante luminoso del suo orologio, e disse: «Le undici e tre quarti. A che ora pensa che vada a letto, la signora Dennison?».

«Credo che ci sia già andata, se è per quello» rispose Dalgliesh in tono deciso. «E non va mai a dormire senza sprangare la porta sul retro. Quindi, se qualcuno ha preso le scarpe e le ha ancora, non potrà andare a rimetterle a posto stanotte.»

Erano tornati alla macchina. Rickards non rispose e rimase a fissare il promontorio con aria assorta. La sua eccitazione silenziosa e controllata era palpabile come se si fosse messo a battere i pugni sul cofano dell'auto. Poi, aprì la portiera e salì: le luci dei fari tagliarono l'oscurità come due lame.

Quando abbassò il finestrino per un ultimo saluto, Dalgliesh gli disse: «C'è qualcosa che dovrei dirle, a proposito di Meg Dennison. Non so se lo ricorda, ma era l'insegnante al centro di quella polemica razziale scoppiata a Londra qualche tempo fa. Immagino che ne abbia avuti abbastanza, di interrogatori. Il colloquio potrebbe non essere affatto facile».

Aveva riflettuto a lungo, prima di parlare, perché sapeva che quella dichiarazione poteva trasformarsi in una mossa sbagliata. E infatti le sue parole per quanto prudentemente formulate, avevano fatto scattare l'antagonismo da sempre latente nel rapporto con Rickards.

«Vuol dire che non sarà facile per la signora Dennison. Ho già parlato con lei e so qualcosa del suo passato. Certo dev'esserle occorso molto coraggio per difendere in quel modo i suoi principi. Qualcuno potrebbe sostenere che le sia occorsa molta ostinazione. E forse, una donna capace di tanto ha abbastanza coraggio per fare qualunque cosa, non le sembra?»

 

36

 

Dalgliesh seguì con lo sguardo la scia dei fanalini di coda fino a quando la macchina raggiunse la strada costiera e svoltò a destra. Allora richiuse la porta e, prima di infilarsi sotto le coperte, si fermò a riordinare il soggiorno. Ripensando alla serata, si rese conto di essere stato particolarmente restio a parlare con Rickards della visita di venerdì mattina alla centrale di Larksoken, e di esserlo stato anche di più in merito alle proprie reazioni, forse perché si erano rivelate più complesse del previsto, così come quel luogo gli era parso più impressionante di quanto si fosse immaginato. Mair lo aveva pregato di raggiungerlo in ufficio entro le otto e tre quarti perché desiderava fargli personalmente da guida prima di partire per Londra, dove lo attendeva un impegno all'ora di pranzo. Appena arrivato, gli aveva chiesto: «Cosa sa dell'energia nucleare, ispettore Dalgliesh?»

«Molto poco» aveva risposto lui. «Anzi, forse sarebbe più prudente dire che non ne so nulla.»

«In questo caso sarà meglio cominciare dal solito preambolo sulle fonti radioattive e da ciò che si intende per energia nucleare ed energia atomica. Ho chiesto al signor Miles Lessingham, sovrintendente alle operazioni, di unirsi a noi in questo giro.»

Erano state due ore straordinarie. Scortato dai due mentori, Dalgliesh era stato infilato in indumenti protettivi, quindi invitato a toglierseli e sottoposto a un controllo della radioattività, cui aveva fatto seguito un torrente quasi in piena di informazioni, fatti e cifre. Sebbene non fosse certo un addetto ai lavori, sapeva che la centrale era diretta con ammirevole efficienza da un'autorità competente e rispettata. Alex Mair, ufficialmente lì per scortare un uomo considerato un visitatore illustre, si era mostrato sempre partecipe, attento e pertinente; e Dalgliesh era rimasto colpito dalla dedizione dei dipendenti che man mano gli venivano presentati, dalla pazienza con cui si ingegnavano a illustrare compiti e mansioni usando termini alla portata di un profano dotato di media intelligenza. Dietro la loro professionalità aveva intuito una fede nell'energia nucleare che in alcuni casi rasentava l'entusiasmo abbinato a un istinto di difesa probabilmente naturale, data l'ambivalenza del pubblico nei confronti del problema. Quando uno degli ingegneri aveva detto: «È una tecnologia pericolosa, ma ne abbiamo bisogno e possiamo dominarla», aveva avvertito non già l'arroganza della certezza scientifica, ma un immenso rispetto per l'elemento da controllare e dominare, qualcosa di simile al rapporto di amore-odio che lega il marinaio al mare, a quello che è al contempo un nemico temuto e il più naturale degli habitat in cui vivere. Se quella visita era stata programmata per rassicurarlo, in una certa misura aveva avuto successo: se l'energia nucleare era al sicuro nelle mani di qualcuno, di certo lo era nelle loro. Ma fino a che punto, e per quanto tempo ancora?

Si erano fermati nella grande sala della turbina, con le orecchie che rombavano, e lì Mair aveva snocciolato fatti e cifre in merito a pressioni, voltaggi e potenziali; infagottato nella tuta protettiva, aveva guardato dall'alto gli elementi esauriti che per cento giorni restavano a riposare sott'acqua come pesci sinistri, nella vasca di raffreddamento, e quindi venivano inviati a Sellafield per un nuovo trattamento. Per osservare l'impianto di raffreddamento ad acqua e i condensatori, erano dovuti andare apposta fino al mare. Ma la parte più interessante era stata la visita al reattore. Richiamato dal bleep del cercapersone, Mair li aveva temporaneamente lasciati e Dalgliesh era dunque rimasto solo con Lessingham. Da un'alta passerella sospesa avevano contemplato i neri piani di carico dei due reattori, di fianco ai quali si stagliavano gli immensi macchinari di alimentazione del combustibile. Ricordando Toby Gledhill, Dalgliesh aveva lanciato un'occhiata eloquente al suo accompagnatore. Lessingham era parso improvvisamente pallido e teso, quasi sul punto di svenire. Poi si era messo a parlare come un automa, recitando una lezione imparata a memoria.

«Ogni reattore contiene 26.488 elementi che vengono riforniti di combustibile da quel macchinario laggiù per un periodo compreso fra i cinque e i dieci anni. Ogni macchina è alta approssimativamente sette metri e pesa 115 tonnellate. Oltre ai componenti indispensabili al ciclo di rialimentazione, può ospitare 14 elementi per il combustibile. Il recipiente a pressione viene pesantemente schermato per mezzo di un rivestimento di ghisa e legno ad alta densità. Quello che vede sopra il macchinario di alimentazione è l'argano utilizzato per sollevare gli elementi. Vi è anche un'unità di collegamento che accoppia la macchina al reattore e una telecamera che dall'alto della camera di immagazzinamento consente di controllare le operazioni di carico.»

A quel punto si era bruscamente interrotto. Dalgliesh lo aveva guardato, notando il tremore delle mani avvinghiate alla ringhiera di protezione. Erano rimasti in silenzio. Lo spasmo era durato meno di dieci secondi. Poi, Lessingham aveva detto: «Lo shock è un fenomeno strano. Per settimane, dopo che è successo, ho sognato di veder precipitare Toby. All'improvviso, il sogno è cessato. Credevo che avrei potuto guardare il reattore dall'alto e scacciare quell'immagine dalla mia mente. Spesso infatti ci riesco: dopotutto ci lavoro, qui, è il mio posto. Ma ogni tanto torno a sognarlo e, come adesso, lo rivedo laggiù, chiaro e nitido come un'allucinazione».

Dalgliesh si era reso conto che, qualunque cosa avesse detto, sarebbe suonata banale. Poi Lessingham aveva ripreso: «Sono stato il primo a raggiungerlo. Era caduto bocconi, ma non l'ho girato. Non avevo il coraggio di toccarlo. E poi, non era nemmeno necessario. Sapevo che era morto. Sembrava così piccolo, con quel corpo da burattino sgangherato. Ho notato solo le due api gialle riprodotte sui tacchi delle sue scarpe da ginnastica. Cristo, sono proprio contento di essermi liberato di quelle maledette scarpe».

Dunque Gledhill non aveva avuto indosso la tuta protettiva. E l'impulso suicida non era stato completamente spontaneo. Dalgliesh aveva osservato: «Doveva essere un abile scalatore».

«Oh, sì, lo era. Ma fra i suoi talenti, era il minore.»

Poi, senza cambiare tono, aveva proseguito nella descrizione del reattore e della procedura di caricamento del combustibile nel nocciolo. Cinque minuti più tardi, Mair era tornato a unirsi al gruppo. Mentre si avviavano verso il suo ufficio, al termine della visita, aveva chiesto: «Mai sentito parlare di Richard Feynman?».

«Il fisico americano? Ho visto un programma televisivo su di lui, qualche mese fa, altrimenti il suo nome non mi avrebbe detto nulla, no.»

«Feynman ha affermato che la realtà è di gran lunga più bella di quanto la immaginassero gli artisti del passato. Perché allora i poeti contemporanei non ne parlano? Lei è poeta, eppure questo posto, l'energia che genera, il fascino e la magnificenza di queste tecnologie non la interessano, vero? Come non interessano nessun altro poeta.»

«Mi interessano, invece. Ma questo non significa che possa trarne una poesia.»

«Giusto. I suoi argomenti sono più prevedibili, vero? Come fanno quei versi?...

 

Il venti per cento a Dio e ai suoi santi

Il venti per cento alla natura e ai surrogati

E quel che resta ai lamenti di coloro

Che inseguon le puttane o ne son perseguitati.»

 

Dalgliesh aveva risposto: «La percentuale per Dio e i suoi santi è in ribasso, ma ammetto che le puttane fanno più della loro parte».

«E anche quel povero diavolo, il Fischiatore del Norfolk, neppure lui è argomento per i poeti, presumibilmente.»

«È umano, e questo lo rende un soggetto molto adatto alla poesia.»

«Lei, però, non lo sceglierebbe.»

Dalgliesh avrebbe potuto rispondere che non è il poeta a scegliere l'argomento, bensì l'argomento a scegliere il poeta. Ma una delle ragioni per cui aveva cercato rifugio nel Norfolk era stata di evitare le discussioni di poesia, e anche se gli fosse piaciuto parlare di ciò che scriveva, sicuramente non avrebbe gradito farlo con Alex Mair. Tuttavia era stata una sorpresa scoprire che quelle domande gli ispiravano ben poco risentimento. Trovare il dottor Mair antipatico era difficile, e ancora di più non rispettarlo. Se fosse stato proprio lui ad assassinare Hilary Robarts, l'ispettore capo Rickards si sarebbe trovato di fronte un avversario degno di nota.

Mentre raccoglieva le ultime ceneri dal fuoco, ricordò di nuovo, e con straordinaria chiarezza, il momento in cui si era fermato di fianco a Lessingham e aveva guardato giù, in direzione dello scuro piano di carico del reattore, dove ribolliva la forza potente e misteriosa. E si chiese quanto tempo sarebbe trascorso ancora prima che Rickards cominciasse a domandarsi per quale motivo l'assassino aveva scelto proprio quel paio di scarpe.

 

37

 

Rickards sapeva che Dalgliesh aveva ragione: disturbare la signora Dennison a quell'ora di notte sarebbe stata una scortesia ingiustificata. Tuttavia, quando passò davanti alla Vecchia Canonica, non poté trattenersi dallo sbirciare per scoprirvi qualche segno di vita. Ma l'edificio si stagliava buio e silenzioso sullo sfondo dei cespugli dilaniati dal vento. Una volta rincasato, l'ispettore si sentì sopraffare all'istante da una stanchezza indescrivibile, ma prima di potersi buttare sul letto lo aspettava ancora parecchio lavoro, incluso il rapporto conclusivo sul Fischiatore: domande imbarazzanti a cui rispondere, una difesa tutta da elaborare con cui contestare le accuse, pubbliche e private, nei confronti dell'inettitudine dimostrata dalle forze di polizia, un po' di autocritica per la pessima supervisione svolta, il problema dell'eccessiva fiducia riposta nella tecnologia e della mancanza dei vecchi e gloriosi metodi d'indagine. Dopo, e soltanto dopo, avrebbe potuto concedersi di esaminare gli ultimi rapporti sul delitto Robarts.

Quando finalmente si spogliò e si gettò bocconi sul letto, erano quasi le quattro di mattina. Durante la notte doveva aver sentito freddo, perché al risveglio si ritrovò regolarmente infilato sotto le coperte. Tese la mano verso la lampada del comodino e si accorse di aver continuato a dormire ignorando la sveglia: erano già quasi le otto. Si drizzò di colpo, fece volare via le coperte e, a passo barcollante, andò a controllarsi la faccia nello specchio della toilette della moglie. Era un mobiletto a forma di fagiolo, ricoperto di voile a fiori rosa e bianco, con il porta anelli e il vassoio perfettamente a posto, e una bambola di pezza appesa a un lato della specchiera, un pupazzo che Susie aveva vinto da piccola a una fiera. Mancavano solo i vasetti del trucco, e quell'assenza lo colpì all'improvviso, come se Susie fosse morta e quegli oggetti fossero stati tolti di torno insieme ai superflui detriti di una vita. Mentre si chinava per osservarsi meglio, si chiese cosa c'era, in quella camera da letto rosa e bianca, squisitamente femminile, che avesse a che fare con la sua faccia scavata, il suo torace rude e mascolino. Per l'ennesima volta tornò a provare la sensazione che aveva conosciuto appena si erano stabiliti in quella casa, un mese dopo le nozze: la sensazione che lì dentro nulla gli appartenesse veramente. Quando era giovane, sarebbe rimasto sbalordito se qualcuno gli avesse detto che ad aspettarlo c'era una casa come quella, con un vialetto coperto di ghiaia, mellecinquecento metri quadri di giardino, salotto e sala da pranzo separati, ognuno con i suoi mobili scelti con estrema cura e ancora odorosi di nuovo... Ma ora che Susie era via, si sentiva di nuovo a disagio, alla stregua di un ospite disprezzato e tollerato a malapena.

Indossò la vestaglia e aprì la porta della cameretta sul lato sud della casa, quella destinata a fungere da nursery. Il lettino era giallo chiaro e bianco, come le tende; contro il muro avevano sistemato il fasciatoio con tutto il necessario e il sacco per i pannolini puliti, e la carta da parati era un tripudio di coniglietti e agnellini. Ma Rickards non riusciva ancora a capacitarsi del fatto che presto lì dentro avrebbe dormito suo figlio.

Non era soltanto la casa a respingerlo. In assenza di Susie, a volte era difficile persino credere alla realtà del loro matrimonio. L'aveva conosciuta in occasione di una crociera culturale in Grecia, scelta come alternativa alla consueta e solitaria vacanza in campeggio. Lei era una delle passeggere più giovani a bordo della nave e viaggiava in compagnia della madre, vedova di un dentista. Adesso si rendeva conto che a fare tutto era stata proprio Susie, decidendo, prima ancora che lui la scegliesse veramente, che la loro storia sarebbe sfociata nel matrimonio. Ma la rivelazione era venuta in un momento in cui era apparsa ben più lusinghiera che inquietante, e dopotutto lui non aveva avuto particolari esitazioni nel risponderle. Lui si trovava ormai in quel momento della vita in cui ogni tanto un uomo accarezza con la fantasia l'immagine idealizzata di una moglie in attesa, a casa, fra le quattro pareti domestiche, l'immagine di qualcuno da cui tornare alla fine della giornata, di un figlio che per un padre diventa la sua scommessa sul futuro, e un oggetto d'amore per cui impegnarsi e lavorare.

E poi, Susie l'aveva desiderato e sposato nonostante l'opposizione della madre, che in un primo momento era invece parsa d'accordo, forse consapevole del fatto che Susie aveva ormai ventotto anni e che il tempo cominciava a non essere più dalla sua parte. Poi, dopo il fidanzamento, aveva lasciato chiaramente capire che la sua unica figlia avrebbe potuto aspirare a qualcosa di meglio, e aveva quindi intrapreso un'energica campagna di rieducazione nei suoi confronti. Ma, alla fine, nemmeno lei aveva trovato nulla da ridire sulla casa, una casa che a Rickards era costata tutti i risparmi di una vita, senza contare un mutuo decisamente sproporzionato rispetto alle previsioni del reddito familiare. Tuttavia, quell'edificio era il simbolo solido e concreto delle due cose che più gli stavano a cuore: il suo matrimonio, e il suo lavoro.

Susie aveva studiato da segretaria, ma si era mostrata contenta di rinunciare all'impiego. Se avesse voluto continuare a lavorare, Rickards l'avrebbe certo appoggiata, come avrebbe fatto per qualunque altro suo desiderio. Ma preferiva che fosse soddisfatta della casa e del giardino, e che lo aspettasse quando rientrava al termine della giornata. Non era un matrimonio alla moda, e non tutte le coppie della loro età avrebbero potuto permetterselo; ma era il tipo di matrimonio che gli si confaceva, ed era felice che lo stesso valesse per Susie.

All'epoca delle nozze non era innamorato di lei, e ora lo sapeva. Addirittura, in quel periodo nutriva il sospetto di non aver mai conosciuto il significato della parola amore, visto che di certo non aveva nulla a che fare nemmeno con le relazioni un po' vergognose e le umiliazioni ricavate dalle sue precedenti esperienze con le donne. Eppure, non soltanto i poeti e gli scrittori, ma tutta quanta la gente comune usava quel termine, e pareva sapere per istinto, se non per esperienza diretta, cosa significava esattamente. A volte si sentiva svantaggiato, escluso da qualcosa a cui aveva diritto, come se fosse nato privo del gusto o dell'olfatto. E quando, tre mesi dopo la luna di miele, si era finalmente innamorato di lei, gli era parsa la rivelazione di un fatto noto e al tempo stesso sconosciuto, come se i suoi occhi di cieco si fossero all'improvviso spalancati sulla realtà della luce, del colore e della forma. Era successo una notte in cui, per la prima volta, Susie aveva provato piacere per il modo in cui lui faceva l'amore, e fra il riso e il pianto gli si era aggrappata mormorandogli parole tenere e incoerenti. L'aveva stretta a sé e aveva compreso, in un momento di totale stupefazione, che quello era amore. Quell'attimo di affermazione era stato un appagamento e una promessa al tempo stesso: non la conclusione di una ricerca, ma l'inizio di una scoperta. E non lasciava spazio a dubbi. Il suo amore, una volta riconosciuto, gli era parso indistruttibile. Il matrimonio poteva certo riservare momenti di infelicità e di ansia, ma non avrebbe mai potuto essere meno di ciò che era stato in quell'istante rivelatore. E dunque davvero era possibile che il loro legame fosse ora minacciato dalla prima prova impegnativa davanti alla quale si trovavano, dalla decisione di Susie di cedere alle insistenze e alle suppliche calcolate della madre e di lasciarlo proprio mentre stava per nascere il loro primogenito? Voleva esserci anche lui, quando per la prima volta le avessero portato il loro bimbo da attaccare al seno. Invece, era quasi certo che non l'avrebbero nemmeno avvertito dell'inizio del travaglio. Prima di addormentarsi, così come al risveglio, la fantasia lo torturava con l'immagine della suocera che, nel reparto maternità, stringeva il nipotino fra le braccia con aria trionfante. Era una visione che esasperava la sua antipatia nei confronti di quella donna, e non gli dava tregua.

A destra della toilette c'era una foto delle nozze in una cornice placcata d'argento: una foto scattata dopo una cerimonia studiata nei minimi dettagli allo scopo di sottolineare la differenza di ceto fra le due famiglie. Susie si sporgeva leggermente verso di lui, il viso appuntito e delicato che dimostrava meno dei suoi ventotto anni, la testolina bionda con la cascata di fiori che arrivava alla spalla. Erano fiori artificiali, boccioli di rosa e mughetti, ma, al ricordo di quel giorno, Rickards ebbe l'impressione di avvertirne l'aroma fugace. Il volto di lei, il suo sorriso solenne, non rivelavano nulla, neppure ciò che sicuramente quel candore mistico stava a simboleggiare: è per questo che mi sono data da fare, era questo che volevo e finalmente l'ho ottenuto. Rickards fissava l'obiettivo sopportando l'ultima delle innumerevoli fotografie scattate davanti all'intera schiera di parenti e invitati. Il gruppo di famiglia si era sciolto, sparpagliandosi intorno a loro. Al centro del ritratto, lui e Susie, una coppia ormai legalmente unita e accettata da tutta la comunità. Quella posa, in retrospettiva, avrebbe potuto addirittura sembrare la parte più importante della cerimonia; a confronto, il rito di per sé non era che un preliminare di quella complicata disposizione di convenuti vestiti in modo assurdo e schierati secondo una gerarchia che lui non riusciva a comprendere, ma che il fotografo ufficiale aveva autoritariamente dimostrato di conoscere alla perfezione. Sentiva ancora la voce della suocera: «Sì, purtroppo è un po' come un diamante grezzo, ma mi hanno detto che potrebbe anche diventare capo della polizia. In fondo è capace».

Be', non aveva affatto la stoffa del capo della polizia, e sua suocera lo sapeva, ma almeno non aveva potuto obiettare nulla sulla casa che lui aveva dato alla sua unica figlia.

Era ancora presto per telefonare. Sapeva che la suocera, abituata ad alzarsi tardi, non gli avrebbe perdonato quella seccatura. Ma se non parlava ora con Susie, prima che gli si presentasse un'altra occasione poteva essere di nuovo notte fonda. Per qualche secondo rimase a guardare il telefono accanto al letto, senza nemmeno sollevare la mano. Se le cose fossero andate diversamente, se non ci fosse stato quel delitto, avrebbe potuto prendere la Rover, correre fino a York e riportare a casa la sua Susie. Una volta che fossero stati uno al fianco dell'altra, lei avrebbe finalmente trovato la forza di opporsi alla volontà della madre; non solo, ma se questa avesse insistito per accompagnarla, rifiutare non avrebbe più significato fare il viaggio da sola. Ci sarebbe stato lui ad assisterla. La voleva a casa, la voleva a casa a ogni costo.

Gli squilli parvero protrarsi troppo a lungo. Fu la suocera a rispondere, pronunciando il numero con stanca rassegnazione, quasi si fosse trattato della ventesima chiamata della mattina.

«Sono Terry, signora Cartwright. Susie è sveglia?»

Non l'aveva mai chiamata "mamma", la trovava una stupidaggine e, per renderle proprio giustizia, lei non l'aveva nemmeno mai proposto.

«Be', se anche non lo era, adesso si sarà svegliata di sicuro. Non sei molto riguardoso, Terry, non ti pare? Susie riposa male, ha bisogno di starsene a letto tranquilla. E poi, ha cercato di mettersi in contatto con te per tutta la serata di ieri. Aspetta.»

Poi, un buon minuto più tardi, la voce esile e un po' incerta. «Terry?»

«Come stai, tesoro?»

«Oh, bene. Ieri la mamma mi ha portato dal dottor Maine, che mi curava quand'ero bambina. Mi sta seguendo, sai, e dice che andrà tutto magnificamente. Per ogni eventualità, mi ha prenotato anche un letto nell'ospedale di qui.»

Dunque ha provveduto persino a questo, pensò Rickards con amarezza, e per un momento gli si insinuò nella mente il pensiero che potessero essersi messe d'accordo, che in fondo fosse ciò che Susie voleva. «Mi dispiace di non aver potuto passare più tempo al telefono, ieri. Qui abbiamo un sacco da fare, tesoro. Ma volevo farti almeno sapere che il Fischiatore è morto.»

«Lo so, Terry, è su tutti i giornali. È una bellissima notizia. Tu stai bene? Mangi abbastanza?»

«Sto benissimo. Sono stanco, ma sto bene. Senti, tesoro, questo nuovo delitto è diverso. Non abbiamo un maniaco omicida in libertà, il pericolo è ormai passato. Purtroppo non potrò venire a prenderti, ma ti verrei incontro a Norwich. Pensi di potercela fare, oggi? C'è un rapido che parte alle quindici e due minuti... Se tua madre desidera venire con te e restare fino a dopo la nascita del bambino, naturalmente sono d'accordo.»

Non era d'accordo, ma si trattava di un prezzo accettabile.

«Resta in linea, Terry. La mamma vuole parlarti.»

Poi, al termine di un'altra lunga pausa, Rickards udì nuovamente la voce della suocera: «Susie rimane qui, Terry».

«Il Fischiatore è morto, signora Cartwright. Non c'è più alcun pericolo.»

«Lo so che il Fischiatore è morto, però so anche che c'è stato un altro omicidio. Quindi vuol dire che c'è ancora un assassino in circolazione, e tu gli stai dando la caccia. Il bambino nascerà fra meno di due settimane, e Susie ha solo bisogno di starsene lontana da tutto ciò che è morte. L'unica cosa che mi importa, è la sua salute. Ha bisogno di premure e attenzioni.»

«Le aveva anche qui, signora Cartwright.»

«Posso ammettere che hai fatto del tuo meglio, Terry, ma tu non sei mai a casa. Ieri sera, Susie ti ha telefonato quattro volte. Aveva bisogno di parlare con te, ma tu non c'eri. Non va, così non va affatto. Stai fuori metà della notte a caccia di assassini. Lo so, per te è giusto, è il tuo lavoro, ma per Susie non lo è. Voglio che mio nipote nasca nella tranquillità. In un momento simile, il posto di una ragazza è con sua madre.»

«Credevo che il posto di una moglie fosse con il marito.»

Oh, Dio, pensò Rickards, l'ho detto. Un'ondata di infelicità mista a disgusto, collera e disperazione sì abbatté su di lui. Se non torna oggi, non tornerà mai più. Il bambino nascerà a York e sua nonna lo terrà fra le braccia prima che possa farlo io. Quella donna metterà le sue grinfie addosso a tutti e due, per sempre. Rickards sapeva quanto fosse intenso il legame tra la vedova e la sua unica figlia. Non passava giorno senza che si telefonassero, spesso anche più di una volta. Sapeva quanta pazienza e determinazione erano occorse per cominciare soltanto ad allontanarla dall'ossessivo abbraccio materno. Ora, aveva messo in mano alla signora Cartwright una nuova arma. Sentì immediatamente il tono di trionfo nella sua voce.

«Non parlarmi del posto di una moglie, Terry. Fra un po' ti metterai a parlare dei doveri di Susie. E i tuoi doveri verso di lei, allora? Le hai detto che non puoi partire per venire a prenderla, e non permetterò certo che mio nipote nasca su un treno. Susie resterà qui fin quando l'ultimo omicidio sarà stato risolto e tu troverai il tempo di venire a prenderla.»

La comunicazione si interruppe. Rickards posò lentamente il ricevitore. Forse Susie avrebbe richiamato. Naturalmente poteva telefonarle di nuovo, ma con un profondo senso di disperazione si rese conto che sarebbe stato inutile. Lei non sarebbe tornata a casa.

Poi, il telefono squillò. Sollevò di scatto il ricevitore e disse: «Pronto? Pronto?».

Ma era soltanto il sergente Oliphant che chiamava da Hoveton. Il fatto che lo facesse tanto di buon'ora, non poteva significare altro che era rimasto in piedi tutta la notte o aveva dormito meno di lui, e ci teneva a farglielo sapere. Di colpo le sue quattro ore di sonno gli parvero un lusso esagerato.

«Il capo la sta cercando, signore. Ho detto alla sua segretaria che era inutile chiamarla a casa, e che sarebbe arrivato da un momento all'altro.»

«Uscirò fra cinque minuti, grazie. Ma non verrò a Hoveton: sono diretto alla Vecchia Canonica di Larksoken. Il signor Dalgliesh ci ha fornito un indizio interessante a proposito delle scarpe da ginnastica. Mi raggiunga davanti alla Canonica fra tre quarti d'ora. E telefoni alla signora Dennison. Le dica di tenere chiusa a chiave la porta sul retro e di non fare entrare in casa nessuno prima del nostro arrivo. Non la metta in allarme: le dica solo che abbiamo un paio di domande da farle e preferiamo sbrigare la cosa stamattina stessa, prima che parli con qualcun altro.»

Se quell'annuncio lo aveva in qualche modo scosso o emozionato, Oliphant riuscì a nasconderlo perfettamente. «Non ha dimenticato che l'addetto alle pubbliche relazioni ha fissato una conferenza stampa per le dieci, signore? Bill Starling, della radio locale, ha cercato di farmi parlare, ma gli ho risposto che deve ancora aspettare. E credo che il capo voglia sapere se abbiamo intenzione di comunicare l'ora approssimativa della morte.»

Il capo non era il solo. Era stato utile creare un po' di confusione intorno all'ora dell'omicidio: in quel modo avevano potuto evitare di escludere che si trattasse del Fischiatore. Ma prima o poi quel dato sarebbe venuto alla luce, e quando il referto autoptico fosse stato reso noto sarebbe diventato estremamente difficile evitare le domande insistenti dei giornalisti. «Non riveleremo alcuna informazione di carattere medico-legale fino a quando non disporremo del rapporto scritto sull'autopsia.»

«Sì, ma l'abbiamo già, signore. Il dottor Maitland-Brown è venuto a consegnarcelo venti minuti fa, prima di andare in ospedale. Si è scusato, ma non poteva proprio aspettarla.»

Appunto, pensò Rickards. Naturalmente non gli aveva detto nulla: il dottor Maitland-Brown non era solito spettegolare con i sottufficiali. Ma i due dovevano aver creato una piacevole atmosfera congratulandosi reciprocamente per la lena e l'efficienza dimostrate nell'essere già di servizio a quell'ora del mattino. «D'altronde, non aveva motivo di aspettare: tutto quello che ci interessa, lo sapremo dal referto. Me lo apra, Oliphant, e mi dia un'idea di cosa contiene.»

Rickards udì il leggero colpetto del ricevitore che veniva posato sulla scrivania. Un minuto di silenzio, poi: «Nessun segno di attività sessuale recente. Non è stata violentata. Pare fosse una donna eccezionalmente sana, prima che qualcuno le passasse un laccio intorno al collo e la strangolasse. Ora che ha esaminato il contenuto dello stomaco, il dottore può essere un po' più preciso circa l'ora del decesso, ma la prima stima fatta in loco è rimasta la stessa: fra le otto e mezzo e le nove e tre quarti. Comunque, se diremo le nove e venti, lui non ha nulla in contrario. E la vittima non era in stato interessante, signore».

«Bene, sergente. Ci vediamo davanti alla Vecchia Canonica fra tre quarti d'ora.»

Ma Rickards non aveva intenzione di affrontare una giornata pesante senza farsi una sana colazione. Dal pacchetto nel frigorifero prese due fette di pancetta affumicata e le infilò sotto il grill regolando la temperatura al massimo. Poi accese il bollitore elettrico e tirò fuori una tazza. Aveva tempo di bersi un caffè forte, quindi avrebbe messo la pancetta tra due fette di pane e avrebbe mangiato in macchina.

Quaranta minuti più tardi, mentre attraversava Lydsett, ripensò alla serata precedente. Non aveva proposto ad Adam Dalgliesh di raggiungere la polizia alla Vecchia Canonica perché non era necessario. Le informazioni che aveva fornito erano di per sé abbastanza precise, e non c'era bisogno della presenza di un ispettore di Londra per individuare una cesta piena di scarpe vecchie. Ma oltre al motivo pratico, ce n'era un altro. Bere il suo whisky e riempirsi lo stomaco con il suo spezzatino, discutere con lui i punti salienti dell'indagine, era stato piacevole. Cos'altro avevano in comune, dopotutto, oltre al lavoro? Ma non per questo desiderava che Dalgliesh fosse presente mentre lo svolgeva. La sera prima, fare tappa al mulino per non rientrare subito nella sua casa grande e vuota era stato un valido diversivo: si era seduto accanto al fuoco ed era stato subito a suo agio. Ma non appena si era allontanato dal collega, le vecchie insicurezze erano tornate a presentarsi, così com'erano tornate, con violenza anche maggiore, accanto al letto di morte del Fischiatore. Sapeva che non avrebbe mai potuto intendersi completamente con quell'uomo, e sapeva anche perché. Gli bastò ricordare quel vecchio episodio per sentirsi invadere ancora dal risentimento. Eppure, era accaduto quasi dodici anni prima, e dubitava che Dalgliesh lo rammentasse a sua volta, il che, naturalmente, aggravava l'ingiuria: come potevano quelle parole scolpite a fuoco nella sua memoria, parole che allora l'avevano profondamente umiliato distruggendo la sua sicurezza professionale, essere pronunciate con tanta facilità e dimenticate tanto in fretta?

Era una stanzetta all'ultimo piano di un caseggiato dietro Edgware Road; la vittima, una prostituta cinquantenne. Era morta da più di una settimana, quando l'avevano trovata, e il puzzo di quel tugurio privo d'aria era stato tale da obbligarlo a ripararsi la bocca con il fazzoletto per non vomitare. Uno degli agenti era stato meno fortunato. Rickards si era precipitato ad aprire una finestra, e, se non fosse stata incastrata in tutto quel sudiciume, ce l'avrebbe anche fatta; in ogni caso, non riusciva nemmeno a deglutire, oppresso dalla sensazione che anche la saliva fosse rimasta contaminata dai miasmi. E il fazzoletto premuto contro le labbra era intriso di saliva. La donna giaceva nuda fra le bottiglie, le pillole, gli avanzi di cibo, un'oscena massa di carne putrefatta, a un passo dal vaso da notte pieno. Non appena il patologo se n'era andato, Rickards aveva chiesto: «Mio Dio, non possiamo portare via quella cosa?».

Allora, dalla soglia, la voce di Dalgliesh gli era giunta come una violenta sferzata. «Sergente, si dice "cadavere". O se preferisce "corpo", "vittima", magari "salma", se proprio vuole. Quella che sta guardando era una donna. Non era una cosa quando era viva, e non lo è neppure adesso.»

Al solo ricordo, Rickards avvertiva una reazione quasi fisica, i muscoli dello stomaco gli si contraevano, la rabbia tornava ad attanagliarlo. Non avrebbe dovuto lasciargli passare liscio quel rimprovero davanti agli agenti; avrebbe dovuto anzi fissare negli occhi quel bastardo arrogante e dire la verità, a costo di rimetterci i gradi: "Ma adesso non è una donna, vero, signore? Non è più un essere umano. E se non è un essere umano, cos'è?".

Era stata un'ingiustizia bella e buona, e adesso gli bruciava. C'erano almeno una dozzina di colleghi che si sarebbero meritati quel freddo rimprovero: perché proprio lui? Mai, da quando era stato promosso nell'anticrimine, aveva considerato una vittima alla stregua di una massa di carne senza alcuna importanza, così come non aveva mai provato alcun pruriginoso piacere nel vedere un corpo nudo. Raramente aveva guardato senza provare pietà o sofferenza anche la vittima più disgustosa e malconcia. Le parole gli erano venute spontanee, per disperazione e stanchezza, dopo una giornata di diciannove ore di lavoro; era stato un disgusto fisico incontrollabile. E naturalmente, la sfortuna aveva voluto che a pochi metri da lui ci fosse Dalgliesh, un superiore il cui gelido sarcasmo riusciva a essere più devastante delle oscenità gridate da chiunque altro. Avevano continuato a lavorare insieme ancora per sei mesi. Non era stato detto altro. Evidentemente, Dalgliesh giudicava almeno passabile il suo operato, così non c'erano state altre critiche. Ma neppure elogi. Nei confronti del superiore, Rickards si era sempre comportato con una correttezza addirittura scrupolosa, e Dalgliesh aveva agito come se quell'episodio non fosse mai accaduto. Se in seguito si era pentito delle proprie parole, non l'aveva mai detto. Probabilmente si sarebbe stupito di sapere quanto risentimento avevano provocato; ma adesso, per la prima volta, Rickards si domandava se anche il collega non fosse stato per caso in un momento di particolare tensione da sfogare, e se non l'avesse fatto attraverso quella critica. Dopotutto, non era stato allora che aveva perso la moglie e il figlio appena nato? Ma cosa c'entrava una prostituta morta in un bordello di Londra? Insomma, avrebbe dovuto risparmiarsi quella frase, e avrebbe dovuto conoscere meglio il suo uomo. Improvvisamente, Rickards pensò che rammentarsi ancora di quelle parole fosse un segno di paranoia pura: era passato troppo tempo, eppure la rabbia continuava a roderlo. Ma l'entrata di Dalgliesh nel territorio di sua giurisdizione era bastata a rievocare tutti gli episodi più penosi della sua carriera, cose molto più gravi e serie di quella critica, e che pure aveva accettato e dimenticato. Chissà dove stava la differenza. Seduto accanto al camino di Larksoken Mill, mentre sorbiva il suo whisky, ormai quasi pari grado e sicuro della propria posizione, gli era parso di poter guardare Dalgliesh senza più rimuginare sul passato. Ora sapeva invece che non era così. Senza quel ricordo, lui e Adam Dalgliesh avrebbero potuto diventare addirittura amici. Adesso lo rispettava, lo ammirava, teneva in alta considerazione ogni suo parere, gli riusciva persino di sentirsi a proprio agio in sua compagnia: ma continuava a ripetersi che non avrebbe mai potuto diventargli simpatico.

 

38

 

Oliphant lo stava già aspettando davanti alla Vecchia Canonica. Non era seduto in macchina. Se ne stava appoggiato al cofano con le gambe incrociate, e leggeva il giornale. Dava l'impressione, senza dubbio deliberata, di essere lì a perder tempo da almeno dieci minuti. Quando la Rover si avvicinò, si raddrizzò e immediatamente tese il giornale a Rickards. «Legga qui, signore. Immagino che dovessimo aspettarcelo.»

La notizia non aveva l'onore di essere pubblicata in prima pagina, ma dilagava nelle due centrali sotto vistosi titoloni e l'esclamazione: "CI RISIAMO?". L'autore era il cronista di nera. Rickards cominciò a leggere.

 

Apprendiamo quest'oggi che Neville Potter, identificato come il Fischiatore e morto suicida domenica scorsa in una stanza del Balmoral Hotel di Easthaven, era stato interrogato dalla polizia all'inizio delle indagini e quindi depennato dall'elenco dei sospetti. Ci chiediamo il perché di un simile esito. La polizia sapeva che tipo d'uomo cercare: un solitario, probabilmente scapolo o divorziato, poco socievole, un uomo in possesso di un mezzo di locomozione e con un lavoro che lo portasse a girare di notte. Neville Potter rispondeva a tutte queste caratteristiche. Se ne deduce che se quest'uomo fosse stato trattenuto fin dal momento dell'interrogatorio, quattro donne innocenti non sarebbero morte per mano sua. Non abbiamo dunque imparato alcuna lezione dal fallimento con lo Squartatore di York?

 

«Le solite, prevedibili sciocchezze» commentò Rickards. «Come dire che le vittime di un omicida sono sempre prostitute che presumibilmente si meritavano quella fine, oppure donne caste e pure.»

Mentre percorreva il vialetto d'entrata alla Vecchia Canonica, diede una veloce scorsa al resto dell'articolo. Il giornalista sosteneva che la polizia si fidava troppo dei computer, della tecnologia e di tutto ciò che non era cervello umano. Era tempo di tornare ai buoni vecchi bobby con i loro giri di ronda notturna. A cosa serviva infilare dati interminabili in un computer, quando un comune investigatore non sapeva distinguere un sospetto da un non sospetto? Nonostante desse voce ad alcune idee che condivideva, nel complesso il tono di quell'articolo gli sembrò inaccettabile. Ributtò il giornale a Oliphant.

«Cosa vorrebbero insinuare? Che avremmo preso il Fischiatore se avessimo piazzato un bobby a ogni incrocio di strada? Piuttosto, ha avvertito la signora Dennison che saremmo venuti e le ha chiesto di non fare entrare nessuno?»

«Non era molto soddisfatta, signore. Ha risposto che gli unici possibili visitatori sono gli abitanti del promontorio, e che non avrebbe saputo cosa dire se fosse stata costretta a mandar via degli amici. Finora, comunque, non si è presentato nessuno, almeno al portone principale.»

«Ha controllato l'accesso sul retro?»

«Lei mi aveva detto di aspettarla qui davanti, signore, così non sono andato a vedere.»

Non era un inizio promettente, ma se Oliphant, con la sua solita mancanza di tatto, era riuscito a irritare la signora Dennison, quando la governante arrivò ad aprire loro la porta non mostrò alcun segno di risentimento. Li accolse invece con solenne cortesia. Rickards si ritrovò nuovamente a pensare che era molto graziosa, con quell'aria distinta e all'antica. Il classico tipo di donna che in Inghilterra chiamavano "bocciolo di rosa inglese", quando quel genere di grazia andava ancora di moda. Persino gli abiti che indossava conservavano un'aria di anacronistica distinzione. Non portava i soliti calzoni, ma una gonna grigia a pieghe e un cardigan dello stesso colore, una camicetta blu e un filo di perle. Nonostante l'apparente compostezza, tuttavia, era molto pallida e il rossetto rosa chiaro risaltava quasi con violenza contro il suo esangue incarnato. Inoltre, Rickards non poté fare a meno di notare la rigidità delle sue spalle sotto la maglia sottile del cardigan.

«Non vuole accomodarsi in salotto, ispettore capo, e spiegarmi meglio di cosa si tratta? Immagino che lei e il sergente gradirete un caffè.»

«Molto gentile da parte sua, signora Dennison, ma purtroppo non abbiamo molto tempo. Spero di non trattenerla a lungo, e vengo subito al dunque. Stiamo cercando un paio di scarpe da ginnastica Bumble, e abbiamo motivo di credere che possano trovarsi nella cesta delle offerte per la beneficenza. Potrebbe mostrarcela, per favore?»

Meg Dennison lanciò loro un'occhiata stupita, poi, senza dire una parola, li condusse oltre una porta in un breve corridoio che conduceva a un'altra porta, chiusa con un catenaccio. La aprì, e si trovarono in un secondo corridoio ancora più corto e dal pavimento di pietra, di fronte alla massiccia porta d'ingresso posteriore, sprangata in alto e in basso. Da lì si accedeva a due stanze, una su ogni lato del corridoio. Quella di destra era aperta.

La signora Dennison li invitò a entrare. «Teniamo qui la roba per la beneficenza. Come ho già detto al sergente Oliphant quando ha telefonato, la porta posteriore è stata sprangata ieri sera alle cinque e da allora è sempre rimasta chiusa. In genere durante il giorno resta aperta, così se qualcuno ha qualcosa da consegnare può lasciarla qui senza dover per forza bussare.»

«Questo significa» disse Oliphant, «che chiunque potrebbe introdursi qui dentro per rubare. Non ha paura dei furti?»

«Siamo a Larksoken, sergente, non a Londra.»

La stanza, pavimentata in pietra, con i muri di mattoni e un'unica finestra, doveva essere stata originariamente concepita come dispensa o ripostiglio. Ora la sua destinazione era evidente: contro il muro c'erano due ceste. Quella di sinistra era per tre quarti piena di scarpe, quella di destra conteneva invece cinture, borse e mazzi di cravatte da uomo. Accanto alla porta c'erano poi due scaffali. Sul primo era visibile un assortimento di cianfrusaglie varie, tazze, piattini, statuine, vassoi, persino una radio portatile e una lampada dal paralume alquanto male in arnese. Sul secondo scaffale erano appoggiati alcuni libri vecchi, quasi tutti tascabili. Da una fila di ganci penzolavano degli appendiabiti con una quantità di indumenti: vestiti da uomo, giacche, completi da donna e bambino. Alcuni portavano già un cartellino con il prezzo fissato all'orlo. Oliphant si fermò per mezzo minuto a studiare la stanza, poi rivolse la propria attenzione alla cesta di scarpe. Gli bastò frugare pochi secondi per accertarsi del fatto che le Bumble non c'erano, ma mentre Rickards e la signora Dennison lo osservavano, diede inizio a una vera e propria ricerca sistematica. Estrasse dalla cesta ogni singolo paio di calzature, quasi sempre tenuto insieme dai lacci, e lo mise da parte fino ad aver svuotato l'intero contenuto. Poi rimise tutto metodicamente a posto. Dalla propria borsa di lavoro, Rickards estrasse una Bumble destra che porse alla signora Dennison.

«Le scarpe che cerchiamo sono come questa. Per caso ricorda di averne visto un paio nella cesta? E, se sì, ricorda anche chi le aveva portate?»

«Non sapevo che si chiamassero Bumble. Però, sì, certo che ce n'era un paio. Le aveva portate il signor Lessingham, della centrale. Era stato incaricato di sbarazzarsi dei vestiti di quel giovane che si è ucciso a Larksoken. Anche due di quegli abiti che vede appesi lì erano di Toby Gledhill.»

«E mi saprebbe dire quando il signor Lessingham ha consegnato questa roba?»

«Be', esattamente non ricordo. Mi pare fosse di pomeriggio, circa una settimana dopo la morte del signor Gledhill. Verso la fine del mese scorso, ecco. Ma dovrebbe chiederlo direttamente a lui, ispettore. Lo ricorderà senz'altro con maggior precisione.»

«Ed è venuto a lasciarle il tutto all'ingresso principale?»

«Oh, sì. Ha detto che non poteva fermarsi per il tè, ma è rimasto un momento a chiacchierare con la signora Copley in salotto. Poi ha portato qui la valigia, insieme a me, e abbiamo sistemato la roba. Ho messo le scarpe in un sacchetto di plastica trasparente.»

«Dunque, quando le ha viste l'ultima volta?»

«Non ricordo, ispettore. Non vengo qui spesso, se non per prezzare qualche vestito. E anche allora, non è che guardi automaticamente nella cesta delle scarpe.»

«Nemmeno per vedere se nel frattempo hanno portato qualcosa di nuovo?»

«Sì, certo, ogni tanto. Ma non faccio controlli regolari.»

«Queste però sono scarpe che si notano, signora Dennison.»

«Lo so, e se avessi frugato di recente nella cesta le avrei viste oppure mi sarei accorta che erano sparite. Ma non ho frugato, e purtroppo non posso proprio dirle quando siano state portate via esattamente.»

«Quanti conoscono questo sistema di consegna?»

«Be', quasi tutti gli abitanti del promontorio e i dipendenti della centrale di Larksoken che vengono regolarmente a portare qualcosa. Di solito passano di qui in macchina mentre tornano dal lavoro. A volte, come il signor Lessingham, suonano all'ingresso principale. Ogni tanto prendo io i sacchetti, oppure mi dicono che verranno a lasciarli loro sul retro. La vendita di beneficenza non si svolge qui, ma nella sala delle riunioni di Lydsett, in ottobre. Però questo è un punto di raccolta molto comodo, per il promontorio e la centrale, e un paio di giorni prima della vendita il signor Sparks oppure il signor Jago, del Locai Hero, vengono con il furgone a caricare tutto quanto.»

«Vedo che i cartellini dei prezzi vengono messi già qui.»

«Non tutti, ispettore. A volte sappiamo che a qualcuno può interessare qualcosa in particolare, e quindi ci sono vestiti e oggetti che vengono acquistati prima della vendita per beneficenza, capisce?»

Quell'ammissione parve mettere un po' in imbarazzo la signora Dennison, e Rickards si chiese se i Copley non ricavassero per caso qualche piccolo guadagno extra. Conosceva quel genere di vendite. Sua madre aveva sempre dato una mano a quella annuale, che si teneva alla Cappella. Chi aiutava aveva la possibilità di scegliere per primo, ed era un vantaggio. «Intende dire che se qualcuno del posto ha bisogno di vestiti, magari per i figli, sa di poterli comprare qui?»

La signora Dennison arrossì visibilmente, e Rickards si accorse di averla ulteriormente sprofondata nel suo imbarazzo. «Di solito la gente di Lydsett aspetta fino alla vendita. Non vale la pena di venire apposta fin qui per vedere cosa abbiamo raccolto. Ma capita che a volte venda un capo o un oggetto agli abitanti del promontorio. Dopotutto, è roba che viene offerta per aiutare la chiesa: niente vieta di vendere qualcosa in anticipo, se a qualcuno del posto interessa. Naturalmente, paga il prezzo normale.»

«E a chi interessa, signora Dennison?»

«Il signor Blaney ha acquistato qualche vestito per i figli. Una delle giacche di tweed del signor Gledhill andava bene al signor Copley, così quella l'ha comprata sua moglie. E Neil Pascoe è venuto a vedere se c'era qualcosa per Timmy.»

«È stato prima o dopo che il signor Lessingham portasse qui le scarpe da ginnastica?» chiese Oliphant.

«Non ricordo, sergente, è meglio che lo chieda a lui. Non abbiamo guardato nella cesta delle scarpe, comunque. Al signor Pascoe interessava qualche tutina per Timmy, infatti ne ha comprate due. Sullo scaffale della cucina c'è una scatola di latta in cui tengo il denaro.»

«Allora la gente non viene qui a servirsi da sola, per poi lasciare i soldi e andarsene?»

«Oh, no, ispettore. Nessuno si sognerebbe di fare una cosa simile.»

«E le cinture? Saprebbe dire se manca una cintura o una cinghia?»

«E come faccio a saperlo?» rispose Meg Dennison con una certa impazienza. «Guardi, guardi anche lei: lo vede che disordine, in quella cesta? Cinghie, cinture, vecchie borsette, sciarpe: come posso dire se manca qualcosa e quando è stata portata via?»

«La sorprenderebbe se le dicessi che un testimone ha visto le scarpe da ginnastica in questa cesta non più tardi di mercoledì scorso?» annunciò Oliphant. Era un esperto nel far apparire anche la più semplice e innocente delle domande una sorta di accusa. Ma la sua rozzezza, che a volte sconfinava nell'impudenza, era in genere calcolata con cura, e raramente Rickards si dava la pena di frenarla, riconoscendole una certa utilità. In fondo, era stato proprio Oliphant a riuscire a incrinare l'apparente compattezza di Alex Mair. Adesso, tuttavia, avrebbe fatto meglio a ricordarsi che stava rivolgendosi a un'ex maestra di scuola. La signora Dennison gli rivolse lo sguardo di blando rimprovero riservato per tradizione agli alunni colpevoli di aver marinato le lezioni.

«Non credo abbia ascoltato attentamente quello che ho detto, sergente. Non so quando siano state portate via le scarpe. Come potrebbe sorprendermi la sua notizia, se non ho alcun riferimento temporale mio?» Quindi si rivolse a Rickards. «Se dobbiamo continuare a discutere, non staremmo più comodi in salotto?»

L'ispettore ne convenne, augurandosi che almeno là facesse un po' più caldo.

La signora Dennison li condusse quindi in un locale orientato verso sud, da cui si dominavano il prato incolto e l'intrico di allori, rododendri e arbusti vari piegati dal vento, una massa informe che nascondeva la strada alla vista. Era una stanza ampia, in realtà poco più calda del deposito che avevano appena lasciato, dove si aveva l'impressione che neppure il sole più forte dell'autunno riuscisse a penetrare dalle finestre e dalle pesanti tende di velluto. L'aria era vagamente soffocante, appesantita da un odore di lucido per mobili misto a quello di cucina, quasi conservasse ancora l'aroma dei ricchi tè vittoriani. Per un attimo, Rickards si aspettò di udire il fruscio di una crinolina.

La signora Dennison non accese la luce, e l'ispettore non si sentì di chiederglielo. Nella penombra, dunque, percepì intorno a sé la presenza di solidi mobili di legno di mogano, ripiani ingombri di fotografie, comode poltrone dalle modeste ricoperture, e di un gran numero di tele incorniciate che conferivano al salotto l'aspetto opprimente di una piccola galleria di provincia dai radi visitatori. La signora Dennison parve almeno accorgersi del freddo e si chinò ad accendere una stufetta elettrica a due elementi, poi sedette girando le spalle alla finestra e indicò a Rickards e Oliphant il sofà, su cui andarono a prendere posto. Rimase ad attendere in silenzio, le mani appoggiate sulle ginocchia. La stanza, con il peso del mogano scuro e l'aria di ponderosa rispettabilità, sembrò rimpicciolire quella figuretta composta. Rickards rimase a contemplarla quasi fosse una pallida e incorporea apparizione incorniciata dalla spalliera dell'immensa poltrona, e si chiese come fosse la sua vita sul promontorio, in quella casa remota e impegnativa, cosa vi avesse cercato al tempo del suo arrivo e cosa vi avesse trovato.

«Quando è stato deciso che il reverendo e la signora Copley andassero a stare con la figlia?» chiese.

«Venerdì scorso, dopo l'assassinio di Christine Baldwin. Da qualche tempo la figlia era molto in pensiero e insisteva perché partissero, ma a convincerli è stato il fatto che l'ultimo delitto fosse stato commesso tanto vicino. Dovevo accompagnarli con la macchina a Norwich per il treno delle otto e mezzo, domenica sera.»

«Ed erano in molti a saperlo?»

«Immagino che la gente ne abbia parlato. Sì, be', quelli di qui lo sapevano, certo. Il signor Copley ha dovuto mettersi d'accordo per i servizi religiosi, in genere è lui a celebrare. Io invece ho lasciato detto alla signora Bryson dell'emporio che mi sarebbe bastato un quarto di latte al giorno invece del solito litro e mezzo. Insomma, sì, la gente lo sapeva.»

«E perché non ha accompagnato i signori Copley alla stazione, come era stato deciso?»

«Perché la macchina si è rotta mentre finivano di fare i bagagli. Mi pareva di averlo già spiegato chiaramente, questo. Verso le sei e mezzo sono andata a prenderla in garage e l'ho portata davanti al portone d'ingresso. Allora funzionava. Quando però ho fatto salire i Copley, alle sette e un quarto, non è più ripartita. Ho telefonato al signor Sparks, alla rimessa di Lydsett, e lui è venuto a prenderli con il taxi.»

«Lei non è andata?»

Prima che la signora Dennison potesse rispondere, Oliphant si alzò, si diresse verso una lampada a stelo e, senza dire una parola, l'accese. L'intenso fascio di luce la investì di colpo, e Rickards pensò che fosse sul punto di protestare. Invece, fece il gesto di alzarsi dalla poltrona, poi risedette e proseguì come se nulla fosse accaduto.

«Be', naturalmente mi è spiaciuto, sarei stata più tranquilla se avessi potuto metterli sul treno di persona, ma il signor Sparks poteva accompagnarli solo se poi avesse potuto proseguire direttamente per Ipswich, dove lo aspettavano altri clienti. Mi ha promesso che non li avrebbe lasciati senza prima sistemarli in carrozza; e poi, non sono bambini, scendere a Liverpool Street possono farlo anche da soli. È il capolinea, e comunque c'era la figlia ad attenderli.»

Perché era tanto sulla difensiva? si chiese Rickards. Certo non aveva motivo di temere che sospettassero di lei. Eppure... Perché no? Nella sua lunga carriera aveva conosciuto assassini anche più improbabili. Riusciva a leggere la paura di quella donna in una dozzina di piccoli segni che non potevano sfuggire a un poliziotto esperto: il tremito delle mani, il lieve tic nervoso all'angolo dell'occhio, l'incapacità di stare calma in un particolare momento, seguita da un'immobilità innaturale un attimo dopo, la nota di tensione che le trapelava dalla voce, il modo in cui sosteneva il suo sguardo con un'aria di sfida e sopportazione al contempo. Presi singolarmente, li si sarebbe potuti dire semplici sintomi di stress; insieme, però, esprimevano uno stato d'animo decisamente prossimo al terrore. La notte precedente si era un po' risentito per l'avvertimento di Adam Dalgliesh, come se avesse preteso di insegnargli il mestiere, ma forse aveva ragione. Forse si trovava di fronte a una donna fin troppo provata dagli interrogatori, e ormai al limite della sopportazione. Ma doveva andare avanti, era il suo lavoro.

«Dunque ha subito telefonato per far venire il taxi?» le chiese. «Non ha prima cercato di scoprire per quale motivo la macchina non partiva?»

«Vede, ispettore, non avevo il tempo materiale per farlo. E poi, non sono un meccanico. In questo genere di cose non me la sono mai cavata troppo bene. L'importante è che abbia scoperto che non andava, ed è stata una fortuna ancora più grande che il signor Sparks potesse farci questo favore. È arrivato immediatamente. I signori Copley erano molto agitati: la figlia li aspettava, si erano messi d'accordo. Insomma, dovevano proprio prendere quel treno.»

«Normalmente dove teneva la macchina?»

«Mi pareva di averle già detto anche questo, ispettore. Nel garage.»

«Ed era chiuso a chiave?»

«No, c'è un lucchetto. Molto piccolo. Immagino che non sarebbe sicuro se qualcuno avesse davvero intenzione di scassinarlo, ma nessuno ci ha mai provato. Quando sono andata a prendere la macchina era chiuso.»

«Tre quarti d'ora prima della partenza.»

«Esatto. Però non capisco dove voglia arrivare. È importante?»

«Semplice curiosità, signora Dennison. Perché tanto tempo prima?»

«Ha mai provato a caricare in macchina i bagagli di due persone che partono per un viaggio a tempo indeterminato? Avevo aiutato la signora Copley a prepararli, quindi per un po' non hanno più avuto bisogno di me, e ne ho approfittato per tirare fuori la macchina.»

«E mentre era parcheggiata di fronte a casa, lei l'ha avuta costantemente sotto gli occhi?»

«No, certo. Ero molto occupata a controllare che i Copley avessero tutto il necessario e a discutere le cose che dovevo fare in loro assenza, le attività della parrocchia, lo smistamento delle chiamate.»

«E tutto questo dove succedeva?»

«Nello studio del signor Copley. La signora era nella sua camera da letto.»

«E la macchina era sempre sul vialetto?»

«Sta cercando di dire che forse qualcuno avrebbe potuto sabotarla?»

«Be', sarebbe un po' strano, no? Cosa le ha fatto venire questa idea?»

«Lei me l'ha fatta venire, ispettore, proprio lei. Da sola non ci avrei mai nemmeno pensato. E sono d'accordo, sarebbe molto strano.»

«Dunque, quando alle nove e tre quarti il signor Jago le ha telefonato dal Locai Hero per avvertirla che il Fischiatore era morto, cosa ha fatto?»

«Non potevo fare nulla. Non potevo nemmeno far rientrare i Copley: erano partiti da più di un'ora, ormai. Ho telefonato alla figlia, al suo club di Londra, e l'ho trovata proprio mentre stava per andare alla stazione di Liverpool Street. Ha detto che aveva già organizzato tutto quanto, quindi sarebbe valsa la pena di farli rimanere comunque una settimana. Torneranno domani pomeriggio, fra parentesi. La signora Duncan-Smith deve andare ad assistere un'amica malata.»

«Vede, uno dei miei agenti ha parlato con il signor Sparks. Sostiene di averle telefonato domenica sera stessa per rassicurarla circa il fatto che i signori erano arrivati sani e salvi al treno; ma dice di non aver ottenuto risposta. Erano pressappoco le nove e un quarto, minuto più minuto meno, la stessa ora in cui il signor Jago ha cercato di chiamarla la prima volta.»

«Sarò stata in giardino. Era una bella notte, c'era il chiaro di luna e mi sentivo un po' irrequieta. Avevo bisogno di uscire un po' da queste quattro mura.»

«Nonostante pensasse che il Fischiatore era ancora in circolazione?»

«Le sembrerà strano, ispettore, ma non ho mai avuto molta paura del Fischiatore. Mi sembrava un pericolo remoto, quasi irreale.»

«Quindi non si è spinta più in là del giardino?»

Meg Dennison lo guardò dritto negli occhi. «No, non mi sono spinta oltre il giardino.»

«E tuttavia non ha sentito il telefono.»

«Il giardino è grande.»

«Ma c'era un gran silenzio, signora Dennison.»

Questa volta non rispose.

«E quando è rientrata, dopo aver vagato sola nel buio?»

«Non direi che una passeggiata in giardino si possa definire vagare soli nel buio. Comunque credo di essere rimasta fuori circa mezz'ora. Ero rientrata da cinque minuti, quando il signor Jago ha richiamato.»

«E quando ha saputo dell'assassinio di Hilary Robarts? È evidente che per lei non si trattava di una novità, quando ci siamo incontrati al Martyr's Cottage.»

«Pensavo che lo sapesse già, ispettore. La signorina Mair mi ha telefonato poco dopo le sette di lunedì mattina. A sua volta l'aveva appreso dal fratello, rientrato tardi la notte di domenica, dopo aver visto il cadavere. Ma aveva preferito non disturbarmi, a mezzanotte, soprattutto trattandosi di una notizia così dolorosa.»

«Ed era proprio tanto dolorosa, signora Dennison?» intervenne Oliphant. «In fondo, conosceva appena la vittima.»

Meg Dennison gli rivolse una lunga occhiata, poi si girò dall'altra parte e disse: «Se avverte la necessità di domandarlo, sergente, è proprio sicuro di fare il mestiere adatto a lei?».

A quel punto Rickards si alzò per congedarsi. Meg Dennison lo accompagnò fino alla porta principale e, mentre stavano per uscire, si girò a guardarlo. «Ispettore, mi ascolti. Io non sono una stupida» disse in tono improvvisamente pressante. «Tutte quelle domande sulle scarpe... evidentemente avete trovato un'impronta sul luogo del delitto e pensa che l'abbia lasciata l'assassino. Ma le Bumble non sono scarpe rare, chiunque potrebbe averle avute ai piedi. Il fatto che sia sparito il paio di Toby Gledhill potrebbe rappresentare una semplice coincidenza. Non è detto che siano state rubate apposta per compiere un omicidio. Potrebbe averle prese qualcuno che ne aveva bisogno...»

«Oh, signora, io non ci credo» replicò Oliphant, intromettendosi. «Lei sì? Come ha detto mezz'ora fa, siamo a Larksoken, non a Londra.» Quando uscì dalla Vecchia Canonica, un sorriso di autocompiacimento gli increspava le labbra.

 

39

 

Rickards avrebbe voluto parlare subito con Lessingham, ma la conferenza stampa indetta per le dieci lo costrinse a rimandare il colloquio; e per complicare le cose, una telefonata alla centrale di Larksoken rivelò che Lessingham si era preso un giorno di permesso, lasciando detto che sarebbe stato reperibile al suo cottage, fuori Blakeney. Per fortuna era in casa e Oliphant, senza dare spiegazioni, fissò un appuntamento per mezzogiorno.

Quando arrivarono al cottage di legno e mattoni sulla strada costiera, un chilometro e mezzo a nord del villaggio, erano in ritardo di meno di cinque minuti, ma scoprirono con frustrazione che Lessingham non era in casa. Alla porta era appeso un biglietto scritto a matita.

"Se qualcuno mi cerca, sono all'Heron, attraccato al molo di Blakeney. Vale anche per la polizia."

«Che faccia di bronzo!» esclamò Oliphant. Come se rifiutasse di credere che un individuo sospetto potesse essere così poco disposto a collaborare, provò ad aprire la porta, sbirciò dalla finestra e fece il giro del cottage. Quando tornò disse: «È conciato un po' male. Avrebbe bisogno di una mano di pittura. Che posto strano per viverci! Queste paludi sono così squallide d'inverno. Credevo che gli piacesse avere intorno un po' di vita».

Anche Rickards pensava che fosse un posto strano. Sembrava che il cottage fosse stato originariamente un'abitazione bifamiliare; ma anche se aveva proporzioni gradevoli e un certo fascino malinconico, a prima vista dava un'impressione di abbandono. Dopo tutto Lessingham era un dirigente tecnico, e di certo non viveva così perché era povero.

«Probabilmente vuol stare vicino alla sua barca. Non ci sono molti porti da scegliere su questa costa. O qui o a Wells-next-the-Sea,» disse Rickards.

Mentre risalivano in macchina, Oliphant si voltò a guardare il cottage con un certo risentimento, come se nascondesse sotto la vernice scrostata un segreto che forse lo si poteva costringere a rivelare con qualche vigoroso calcio alla porta. «E quando arriveremo al molo» borbottò mentre agganciava la cintura di sicurezza, «troveremo un biglietto che ci dirà di cercarlo al pub.»

Ma Lessingham era dove aveva lasciato scritto che l'avrebbero trovato. Dieci minuti più tardi lo raggiunsero: seduto su una cassa rovesciata, sul molo deserto, controllava un motore fuoribordo. Lì accanto era attraccata una barca a vela da dieci metri, con una cabina centrale. Non aveva ancora incominciato a lavorare. Uno straccio relativamente pulito gli pendeva dalla mano che sembrava reggerlo svogliatamente; guardava il motore come se gli ponesse un problema insolubile. Alzò gli occhi verso di loro e Rickards rimase colpito nel vederlo tanto cambiato. In due giorni appena sembrava invecchiato di dieci anni. Era scalzo e portava un maglione azzurro sopra i jeans tagliati al ginocchio e sfrangiati come voleva la moda. Ma l'abbigliamento informale sottolineava ancora di più il pallore di cittadino, la pelle tirata sugli zigomi pronunciati, i cerchi sotto gli occhi. In fondo non era che un marinaio a tempo perso, pensò Rickards. E tutto sommato era strano che quell'estate, per quanto un'estate di maltempo, non avesse prodotto niente di più di una leggera abbronzatura color biscotto.

Lessingham non si alzò. «Avete avuto fortuna a trovarmi quando avete telefonato» attaccò senza preamboli. «Un giorno di permesso non si può sprecare in casa, soprattutto adesso. Ho pensato che potevamo parlare anche qui.»

«Non proprio» rispose Rickards. «Andrebbe meglio un posto un po' più privato.»

«Questo lo è abbastanza. Gli abitanti di qui sanno riconoscere i poliziotti. Certo, se volete che faccia una dichiarazione ufficiale o se avete in mente di arrestarmi, preferirei la stazione di polizia. Intendo conservare incontaminate la mia casa e la mia barca.» Poi aggiunse: «Voglio dire, incontaminate da sensazioni sgradevoli».

«Perché pensa che vogliamo arrestarla? Per quale motivo?» ribatté Oliphant imperturbabile. E quando aggiunse «signor Lessingham» lo disse come se si fosse trattato di una minaccia.

Rickards ebbe un moto di irritazione. Era tipico di Oliphant non lasciarsi sfuggire un colpo basso; ma quelle schermaglie preliminari non avrebbero reso più semplice l'interrogatorio. Lessingham guardò il sergente con la faccia di chi si sta chiedendo se le domande che gli erano state rivolte meritavano una risposta.

«E chi lo sa! Se vi impegnate forse riuscite a farvi venire in mente qualcosa.» Poi, rendendosi conto che lì fuori avrebbero dovuto restare in piedi, si alzò. «Va bene, venite a bordo.»

Rickards non era un marinaio, ma ebbe l'impressione che la barca, tutta di legno, avesse i suoi anni. La cabina, con il soffitto così basso che per entrare dovettero chinarsi, aveva uno stretto tavolo di mogano al centro e una panca per lato. Lessingham si mise a sedere sulla panca davanti ai poliziotti. Si guardavano in faccia al di sopra di sessanta centimetri di legno lucido. Le loro facce erano così vicine che Rickards ebbe la sensazione di poter distinguere gli odori - un miscuglio mascolino di sudore, lana, birra e il dopobarba di Oliphant - come se fossero tre animali chiusi in gabbia. Sarebbe stato difficile trovare un posto meno adatto per un interrogatorio; si chiese se Adam Dalgliesh si sarebbe organizzato meglio, ma subito dopo si rimproverò quel pensiero. Era conscio della mole massiccia di Oliphant al suo fianco, delle loro cosce che si toccavano, del calore innaturale che quel contatto emanava, e dovette resistere all'impulso di scostarsi.

«La barca è sua, signor Lessingham?» chiese. «È quella con cui era fuori domenica scorsa?»

«Non sono stato fuori molto, ispettore. Non c'era abbastanza vento. Comunque sì, è la mia barca, ed è quella con cui domenica scorsa ero fuori.»

«Sembra che abbia danneggiato lo scafo. C'è un bel graffio che ha l'aria di essere recente, sul lato destro.»

«Vedo che l'ha notato. Ho strusciato contro una torre dell'acqua della centrale, al largo. Mi sono distratto... Eppure navigo spesso in quelle acque. Se foste arrivati tra un paio d'ore l'avreste trovato ridipinto.»

«E sostiene ancora di non essere arrivato in vista della spiaggia dove la signorina Robarts ha fatto l'ultima nuotata?»

«Me l'ha già chiesto lunedì. Dipende da cosa intende per "in vista". Avrei potuto vedere la spiaggia con il binocolo se avessi guardato, ma posso confermarle che non mi sono avvicinato a meno di ottocento metri e che non sono sbarcato. E questo mi sembra un punto essenziale, dato che non avrei potuto assassinare Hilary Robarts senza sbarcare. Ma non credo che lei sia venuto fin qui solamente per controllare di nuovo il mio alibi.»

Oliphant si chinò con fatica, issò la borsa sul sedile, estrasse un paio di scarpe Bumble e le posò sul tavolo, una accanto all'altra. Rickards osservava la faccia di Lessingham: si era controllato immediatamente, ma non era riuscito a nascondere di averle riconosciute; nei suoi occhi era passato un lampo, i muscoli intorno alla bocca gli si erano tesi. Le scarpe da ginnastica nere, grigie e bianche, con la piccola ape sul tacco, sembravano dominare la cabina. Dopo averle tirate fuori, Oliphant le ignorò.

«Però era a sud delle torri dell'acqua della centrale» disse. «Il graffio è a destra, quindi l'incidente le deve essere capitato mentre era diretto a nord, signor Lessingham.»

«Ho virato per tornare indietro dopo aver superato le torri di una cinquantina di metri. Avevo deciso di arrivare fino alla centrale e non oltre.»

«Le scarpe da ginnastica, signor Lessingham» riprese Rickards. «Le conosce?»

«Certo, sono Bumble. Non tutti possono permettersele, ma quasi tutti le conoscono.»

«Le ha viste per caso ai piedi di qualcuno che lavorava a Larksoken?»

«Sì, Toby Gledhill ne aveva un paio. Dopo il suicidio, i genitori mi chiesero di dare via la sua roba. Non c'erano molti vestiti: i soliti calzoni e le solite giacche, e una mezza dozzina di paia di scarpe. Incluse quelle da ginnastica. Erano quasi nuove, le aveva comprate una decina di giorni prima di morire. E le aveva messe una volta sola.»

«E lei cosa ne ha fatto, signor Lessingham?»

«Ho fatto un pacco di tutti gli indumenti e li ho portati alla Vecchia Canonica per la prossima vendita di beneficenza. I Copley hanno una stanzetta sul retro della casa dove chiunque può lasciare il suo contributo. Ogni tanto il dottor Mair mette un avviso sulla bacheca per invitare tutti a offrire quello che non usano più: è un modo per partecipare alla vita della comunità, alla grande famiglia del promontorio. Non sempre andiamo in chiesa, ma dimostriamo la nostra buona volontà offrendo ai poveri i nostri indumenti smessi.»

«Quando ha portato la roba del signor Gledhill alla Vecchia Canonica?»

«Non ricordo esattamente, ma credo che sia stato due settimane dopo la sua morte. Poco prima del fine settimana, mi pare. Probabilmente venerdì ventisei agosto. Forse la signora Dennison se lo ricorda. Non credo valga la pena di chiederlo alla signora Copley, nonostante abbia visto anche lei.»

«Ha consegnato tutto alla signora Dennison?»

«Sì. A dire la verità, di solito la porta posteriore della Vecchia Canonica rimane aperta durante il giorno, e la gente può entrare e lasciare quello che vuole, ma in quell'occasione ho pensato che fosse meglio consegnare personalmente la roba. Non ero sicuro che sarebbe stata gradita; c'è chi è superstizioso e non vuole comprare cose appartenute a un morto. Così mi sembrava poco corretto lasciarle lì.»

«Cos'è successo alla Vecchia Canonica?»

«Niente di particolare. La signora Dennison ha aperto la porta e mi ha fatto entrare in salotto, dove c'era anche la signora Copley. Ho spiegato la ragione della mia visita, lei ha snocciolato le solite frasi di circostanza sulla morte di Toby e la signora Dennison mi ha offerto una tazza di tè. Ho rifiutato, e l'ho seguita nella stanza sul retro dove tengono tutto quel ciarpame. C'è una grande cesta, e lì stanno le scarpe, legate paio per paio con i lacci e buttate alla rinfusa. Con l'aiuto della signora Dennison ho tirato fuori gli abiti di Toby che avevo portato in una valigia, lei ha detto che erano troppo belli per la vendita di beneficenza e ha chiesto il permesso di venderli separatamente, con l'intesa che il ricavato sarebbe andato comunque alla chiesa. Pensava di riuscire a spuntare un prezzo più alto. Avevo l'impressione che si domandasse se una delle giacche sarebbe andata bene al signor Copley. Le ho risposto che facesse come riteneva più opportuno.»

«E le scarpe? Sono state messe nella cesta con le altre?»

«Sì, ma avvolte in un sacchetto di plastica. La signora Dennison ha detto che erano in buone condizioni e che se le avesse messe insieme alle altre si sarebbero sporcate. Così è andata a prendere un sacchetto. Sembrava che non sapesse come sistemare i vestiti, e allora mi sono offerto di lasciarle la valigia. Era di Toby, dopotutto, e la si poteva vendere con il resto. Cenere alla cenere, polvere alla polvere, ciarpame al ciarpame. Sono stato contento di togliermi di torno quella roba.»

«Avevo letto del suicidio del dottor Gledhill» disse Rickards. «Dev'essere stato molto doloroso per lei che ha assistito alla scena. Dicono che fosse un giovane brillante e molto promettente.»

«Era uno scienziato creativo. Mair glielo confermerà se le interessa. Certo, la scienza valida è sempre creativa, qualunque cosa ne dicano i seguaci delle discipline umanistiche; ma ci sono scienziati che hanno una visione particolare, che possiedono un intuito geniale anziché un semplice talento, l'ispirazione unita alla necessaria scrupolosità. Qualcuno, non ricordo chi, l'ha spiegato piuttosto bene: molti di noi avanzano faticosamente metro per metro; loro si lanciano con il paracadute dietro le linee nemiche. Gledhill era giovane, aveva appena ventiquattro anni... avrebbe potuto arrivare molto lontano.»

Oppure da nessuna parte, pensò Rickards, come tanti di quei giovani geni. Di solito una morte precoce conferiva una breve, consolatoria immortalità. Non c'era giovane investigatore ucciso in un'azione che non venisse subito salutato come un potenziale capo della polizia. «Cosa faceva esattamente alla centrale? Qual era il suo lavoro?» chiese.

«Lavorava con Mair ai suoi studi sulla sicurezza dei reattori pressurizzati. Per dirla in breve si occupava del comportamento del nocciolo in condizioni anormali. Toby non ne discuteva mai con me, probabilmente perché sapeva che non avrei capito i complicati codici informatici. Io sono un semplice ingegnere. Mair pubblicherà lo studio prima di andarsene per assumere il nuovo incarico. Senza dubbio porterà tutte e due le firme, e ci sarà il dovuto riconoscimento al contributo di Gledhill. Così di Toby resterà solo il nome, scritto sotto quello di Mair in una relazione scientifica.»

Lessingham sembrava molto stanco. Guardò verso la porta e fece per alzarsi, come se volesse uscire all'aria aperta, fuori dall'atmosfera claustrofobica della cabina. Poi, senza staccare lo sguardo dalla porta, disse: «È inutile cercare di spiegarle com'era Toby, non capirebbe. Sarebbe tempo sprecato per me e per lei».

«Ne sembra molto sicuro, signor Lessingham.»

«Sì, ne sono sicuro. Il motivo la offenderebbe, quindi è meglio attenerci ai fatti. Vede, Toby era eccezionale: era intelligente, buono, bello. Quando un essere umano ha una di queste qualità è fortunato: quando le possiede tutte e tre, è una persona straordinaria. Ero innamorato di lui; lo sapeva, perché gliel'avevo detto. Lui non era innamorato di me, e non era gay. Questo, comunque, non la riguarda. Lo dico perché era un fatto e lei si occupa di fatti; e anche perché se si interessa a Toby è meglio che abbia le idee chiare. Poi c'è un'altra ragione: evidentemente sta scavando in tutto il fango che riesce a trovare. Preferisco che sappia la verità da me prima che le giungano all'orecchio le chiacchiere di qualcun altro.»

«Dunque» disse Rickards, «lei dichiara che tra voi non c'era una relazione?»

All'improvviso l'aria si riempì di un acuto stridore e vi fu un batter d'ali bianche oltre l'oblò. Fuori qualcuno dava da mangiare ai gabbiani.

Lessingham trasalì come se quel suono gli giungesse insolito. Poi si rilassò e disse in un tono più stanco che arrabbiato: «Cosa diavolo ha a che fare tutto questo con l'assassinio di Hilary Robarts?»

«Forse niente, e in questo caso l'informazione rimarrà riservata. Ma a questo punto spetta a me decidere cosa è o non è pertinente.»

«Passammo una notte insieme due settimane prima che morisse. Come ho detto, aveva un carattere buono e gentile. Fu la prima e ultima volta.»

«Ed è cosa nota?»

«Non l'abbiamo trasmesso alla radio, non abbiamo scritto ai giornali e non abbiamo messo un annuncio alla mensa della centrale... Naturalmente non era cosa nota! Perché diavolo avrebbe dovuto esserlo?»

«Avrebbe avuto importanza se si fosse saputo? Uno dei due se la sarebbe presa?»

«Sì, ce la saremmo presa tutti e due. Me la sarei presa come se la prenderebbe lei se si ridesse in pubblico della sua vita sessuale. Ce la saremmo presa, certo. Dopo il suicidio, per quanto mi riguarda ha smesso di avere importanza. C'è da dire questo della morte di un amico: ti libera da tante cose che prima ti sembravano importanti.»

Ti libera... in cambio di cosa? pensò Rickards. In cambio di un omicidio, gesto iconoclastico di protesta e di sfida, unico passo oltre una frontiera indifesa che, una volta compiuto, separa per sempre un uomo dal resto dei suoi simili? Tuttavia decise di rimandare quella domanda così ovvia.

Chiese invece: «Che genere di famiglia aveva?». Sembrava una domanda innocua e banale, come se stessero parlando casualmente di un conoscente comune.

«Aveva un padre e una madre, quel genere di famiglia. Perché, ce ne può essere un altro?»

Ma Rickards aveva deciso di essere paziente. Non gli riusciva facile, tuttavia sapeva riconoscere la sofferenza quando se la trovava davanti. «Volevo sapere piuttosto da che ambiente veniva» disse in tono blando. «Fratelli o sorelle?»

«Il padre è un vicario di campagna, e la madre è la moglie di un vicario di campagna. Toby era figlio unico. La sua morte li ha distrutti. Se fosse stato possibile farla passare per un incidente, l'avremmo fatto; se mentire fosse servito a qualcosa, avrei mentito. Perché diavolo non si è annegato? Così almeno ci sarebbe stato spazio per il dubbio. È questo che voleva sapere?»

«Contribuisce a completare il quadro.» Rickards si interruppe e poi, quasi soprappensiero, fece la domanda che gli interessava: «Hilary Robarts sapeva che lei e Tobias Gledhill avevate passato una notte insieme?».

«Che importanza può avere?... D'accordo, è compito suo frugare nel fango. Conosco il sistema: tira su con le reti tutto quello che trova e butta via quello che non le serve. Nel frattempo scopre molti segreti che non avrebbe il diritto di conoscere, e causa molte sofferenze. Le piace? È così che si diverte?»

«Risponda alla mia domanda, per favore.»

«Sì, Hilary lo sapeva. L'aveva scoperto per una di quelle coincidenze che capitano una volta su un milione, ma che in realtà non sono straordinarie né eccezionali. È passata con la macchina davanti a casa mia mentre io e Toby stavamo uscendo alle sette e mezzo del mattino. Aveva preso un giorno di permesso e doveva essere partita presto per andare chissà dove. È inutile che mi chieda dove andava perché non lo so. Come tanti altri anche lei avrà avuto degli amici e probabilmente ogni tanto andava a trovarli. Voglio dire, da qualche parte doveva pur esserci qualcuno che la trovava simpatica.»

«Hilary Robarts ha mai parlato di quell'incontro con lei o con altri a quanto le risulta?»

«Non è andata a sbandierarlo in giro. Credo che la considerasse un'informazione troppo preziosa per gettarla ai porci. Amava il potere, e questa era una forma di potere. Mentre passava, ha rallentato e mi ha guardato negli occhi. Ricordo quello sguardo: divertimento che si è trasformato in disprezzo e poi in trionfo. Ci siamo capiti perfettamente. Ma in seguito non ne ha mai fatto parola.»

«Ne aveva parlato con il signor Gledhill?»

«Oh, sì, ne aveva parlato a Toby. Per questo si è ucciso.»

«Come sa che gli aveva parlato? Gliel'ha detto lui?»

«No.»

«Vuol dire che Hilary Robarts lo ricattava?»

«Voglio dire che Toby era infelice, confuso, incerto su ogni aspetto della sua vita: le sue ricerche, il suo futuro, la sua sessualità. So che trovava Hilary Robarts attraente, la desiderava. Era una di quelle donne forti e dominatrici che attraggono gli uomini sensibili come Toby. Credo che lo sapesse anche lei e che ne approfittasse. Non so quando gli avesse parlato, né cosa gli avesse detto, ma sono maledettamente sicuro che oggi Toby sarebbe ancora vivo se non fosse stato per Hilary Robarts. E se pensa che questo mi dia un movente per l'omicidio, ha perfettamente ragione: ma non l'ho uccisa, quindi non troverà prove contro di me. In fondo, molto in fondo, mi dispiace un po' per la sua morte. Non mi era simpatica e non credo che fosse una donna felice o particolarmente utile, ma era sana, intelligente e giovane. La morte dovrebbe portar via i vecchi, i malati e i deboli. Provo quel sentimento che si definisce lacrimae rerum. Anche la morte di un nemico ci sminuisce; o almeno così sembra in certi stati d'animo. Ma ciò non significa che vorrei rivederla viva. Forse sono prevenuto o addirittura ingiusto. Quando Toby era felice non c'era nessuno più allegro di lui: ma quando era infelice, precipitava in un intimo inferno. Forse lei poteva aiutarlo; so che io non potevo. È difficile confortare un amico con il sospetto che veda in ogni tuo gesto un tentativo di portarlo a letto.»

«Apprezzo la franchezza con cui ci ha suggerito quale sarebbe stato il suo movente» disse Rickards, «ma non mi ha dato una sola prova che Hilary Robarts fosse in qualche modo responsabile della morte di Toby Gledhill.»

Lessingham lo guardò negli occhi e parve riflettere, poi rispose: «Sono arrivato fino a questo punto, tanto vale che le dica anche il resto. Mentre mi passava accanto per andare a uccidersi, Toby mi ha parlato. Ha detto: "Di' a Hilary che non deve più preoccuparsi, ho fatto la mia scelta". Quando l'ho rivisto stava salendo sulla macchina dell'alimentazione del combustibile. È rimasto in bilico per un secondo, poi si è buttato sul reattore. Voleva che lo vedessi morire, e l'ho visto morire».

«Un sacrificio simbolico» commentò Oliphant.

«Alla terribile divinità della fissione nucleare? Mi aspettavo che qualcuno lo dicesse prima o poi. È quello che ha pensato la gente, ma sarebbe stato un gesto troppo eclatante e istrionico. Non cercava altro che il modo più rapido per rompersi il collo!» Lessingham tacque di nuovo con aria pensosa, poi continuò: «Il suicidio è un fenomeno straordinario. Ha un risultato irrevocabile: l'estinzione, la fine di ogni scelta. Eppure spesso la causa in sé sembra banale. Un piccolo contrattempo, una depressione momentanea, persino una cattiva cena. Toby sarebbe morto se avesse passato la notte precedente con me invece che da solo? Ammesso che fosse solo...»

«Vuol dire che non lo era?»

«Non ci sono prove in un senso o nell'altro, né ci saranno mai. L'inchiesta, del resto, ha brillato per l'assenza di ogni genere di prova. C'erano tre testimoni del suicidio, io più altri due. Nessuno gli era vicino, nessuno avrebbe potuto dargli una spinta, e non è possibile che si sia trattato di un incidente. Né io né gli altri abbiamo parlato del suo stato d'animo. Si può dire che sia stata un'inchiesta condotta scientificamente, attenendosi ai fatti.»

«E con chi pensa che il signor Gledhill abbia passato la notte prima di morire?» chiese Oliphant, senza alzare la voce.

«Con quella donna.»

«Come può dirlo?»

«Non potrei dimostrarlo in tribunale, però gli ho telefonato tre volte fra le nove e mezzanotte, senza ottenere risposta.»

«Non l'ha detto alla polizia o al coroner?»

«L'ho detto. Mi hanno chiesto quando l'avevo visto l'ultima volta. È stato alla mensa, il giorno prima che morisse. Poi ho parlato della mia telefonata, ma nessuno l'ha considerata importante. E perché avrebbero dovuto? Che cosa prova? Poteva essere uscito a fare una passeggiata, poteva aver deciso di non rispondere al telefono. Il modo in cui è morto non è un mistero. E adesso, se non le dispiace, vorrei andare a pulire quel maledetto motore.»

Tornarono alla macchina in silenzio, finché Rickards disse: «È un bell'arrogante! Non ha usato mezzi termini: è inutile cercare di spiegare qualcosa alla polizia, il motivo ci offenderebbe. Ci può scommettere. Siamo troppo stupidi, ignoranti e insensibili per capire che uno scienziato non è inevitabilmente un tecnocrate privo di immaginazione, che si può provare rammarico per la morte di una donna senza augurarsi per questo che sia ancora viva, e che un ragazzo attraente come Toby Gledhill possa essere disposto ad andare a letto con uomini e donne».

«Potrebbe avercela fatta sfruttando il motore al massimo» intervenne Oliphant. «Avrebbe dovuto scendere a terra a nord del punto dove la Robarts faceva il bagno e tenersi sulla fascia della marea, altrimenti avremmo trovato le sue impronte. Abbiamo fatto una ricerca meticolosa, signore, per almeno un chilometro e mezzo verso nord e verso sud. Abbiamo identificato le orme di Dalgliesh, ma a parte quelle la spiaggia era pulita.»

«Oh, sì, di certo si sarebbe fermato lontano dal luogo del delitto, ma avrebbe potuto tirare in secco il gommone sui sassi senza troppi problemi. Ci sono tratti che sono tutti ciottoli, o con strette strisce di sabbia che si possono facilmente saltare.»

«E i vecchi bunker sulla spiaggia, quei pezzi di cemento? Sarebbe difficile arrivare fin quasi a riva sulla costa settentrionale senza correre rischi per la barca.»

«È quello che è successo, no? C'è il graffio a prua. Non può provare di averlo fatto contro le torri dell'acqua. Non ha perso la calma, è vero. Ha persino ammesso che se fossimo arrivati un'ora dopo l'avrebbe riparato. Ma anche se avesse coperto il graffio con la vernice non gli sarebbe servito a molto, il segno si sarebbe notato lo stesso. Dunque Lessingham riesce ad avvicinarsi il più possibile alla riva con la barca, diciamo un centinaio di metri a nord dal punto dov'è stato rinvenuto il cadavere; cammina sui sassi, si addentra fra gli alberi e aspetta. Oppure carica sul gommone la bicicletta pieghevole e sbarca alla distanza più opportuna. Non poteva procedere in bici lungo la spiaggia con l'alta marea, ma sarebbe stato abbastanza al sicuro sulla strada costiera se avesse pedalato con il fanale spento. Poi risale a bordo e torna ad attraccare a Blakeney, approfittando dell'alta marea. Il coltello e le scarpe non sono un problema: li butta in mare. Faremo esaminare la barca... con il consenso di Lessingham naturalmente, e voglio che qualcuno ripeta quel percorso, da solo. Se tra i nostri c'è un marinaio provetto, incarichi lui. Se no, si rivolga a qualcuno del posto e lo accompagni. Dobbiamo cronometrare i tempi al minuto. E sarà bene fare qualche domanda ai pescatori di granchi della zona di Cromer. Può darsi che qualcuno fosse fuori quella notte e abbia visto la sua barca.»

«È stato molto gentile a porgerci il suo movente su un piatto d'argento» rifletté Oliphant.

«Così gentile che non posso fare a meno di chiedermi se non si tratta di una cortina fumogena dietro cui nascondere qualcosa che non ci ha detto.»

Ma mentre Rickards si agganciava la cintura di sicurezza, gli affiorò alla mente un'altra possibilità. Lessingham non aveva fatto parola dei suoi rapporti con Toby Gledhill fino a che non l'avevano interrogato sulle scarpe da ginnastica. Doveva sapere, inevitabilmente, che quelle scarpe legavano ancora di più il delitto agli abitanti del promontorio e in particolare alla Vecchia Canonica. Era possibile che la sua franchezza con la polizia fosse dovuta non tanto all'impulso di confidarsi, quanto alla volontà di distogliere i sospetti da qualcun altro? E in questo caso, si domandò Rickards, chi poteva aver ispirato quell'eccentrico atto di cavalleria?

 

40

 

Il giovedì mattina Dalgliesh andò a Lydsett a far spese nell'emporio. Sua zia era solita acquistare sul posto quasi tutte le provviste, e lui aveva deciso di mantenere l'abitudine, in un certo senso anche per mettere a tacere il vago senso di colpa che gli derivava dal possesso, seppure temporaneo, di una seconda casa. Nel complesso gli abitanti del paese non nutrivano risentimento verso i villeggianti anche se i loro cottage restavano vuoti per gran parte dell'anno e il loro contributo alla vita della comunità era minimo; preferivano però non vederli arrivare con i portabagagli pieni di provviste di Harrods o di Fortnum and Mason.

Del resto, servirsi dai Bryson, nell'emporio all'angolo, non era un sacrificio. Era un negozio senza pretese, con il campanello sulla porta, e come mostravano le vecchie foto vittoriane, nel corso dell'ultimo secolo all'esterno non era cambiato molto. Ma negli ultimi quattro anni l'interno aveva visto più cambiamenti che in tutto il resto della sua storia. Forse in seguito all'aumento del numero delle case date in affitto per le vacanze, forse perché i gusti degli abitanti era diventati più raffinati, adesso offriva pasta fresca, una scelta di formaggi inglesi e francesi, le marche più care di prosciutto, marmellata d'arance, senape e un discreto assortimento di delicatessen; inoltre, come si leggeva su un cartello, ogni giorno c'erano croissant freschi.

Dalgliesh dovette fare manovra per fermarsi nella strada laterale evitando una vecchia, massiccia bicicletta appoggiata al marciapiede, con un grosso cesto di vimini attaccato al manubrio. Ne negozio trovò Ryan Blaney che finiva di fare la spesa. La signora Bryson stava facendo il conto e metteva nei sacchetti le pagnotte, i pacchetti di zucchero, il latte e un assortimento di scatolette. Per un attimo Blaney sollevò gli occhi arrossati su Dalgliesh, poi gli rivolse un cenno brusco e ne andò. Doveva essere ancora senza furgone, pensò Dalgliesh guardandolo mentre caricava un sacchetto nel cesto e appendeva gli altri due al manubrio. La signora Bryson gli indirizzò un sorriso, ma non disse nulla; era una negoziante troppo prudente per rischiare di farsi la reputazione di pettegola o di immischiarsi nelle controversie locali. Tuttavia Dalgliesh ebbe l'impressione che l'atmosfera fosse satura di una tacita simpatia per Blaney, e intuiva vagamente che in quanto poliziotto la signora Bryson lo riteneva responsabile... anche se non sapeva di cosa. Rickards e i suoi uomini dovevano aver interrogato gli abitanti del paese sul conto dei residenti sul promontorio, in particolare su Ryan Blaney, e forse non avevano dimostrato molto tatto.

Cinque minuti dopo, Dalgliesh era fermo ad aprire il cancello che sbarrava l'accesso al promontorio. Dall'altra parte un vagabondo era seduto sull'argine che separava il vialetto dal fosso pieno di canne. Aveva la barba e portava un berretto di tweed; due trecce di capelli grigi, trattenute da elastici, gli scendevano fin quasi alle spalle. Mangiava una mela: la tagliava con un coltello a manico corto e si infilava le fette in bocca. Le gambe lunghe, coperte dai pesanti calzoni di velluto a coste, erano distese come per mettere in mostra le scarpe da ginnastica nere, bianche e grigie, così nuove che spiccavano in confronto al resto degli indumenti. Dalgliesh chiuse il cancello, si avvicinò e incontrò un paio di occhi vivaci e intelligenti che brillavano su un volto teso e scavato. Se si trattava di un vagabondo, quello sguardo acuto, quell'aria di autosufficienza e la pulizia delle mani bianche e delicate ne facevano un soggetto fuori del comune. D'altra parte era troppo carico per essere semplicemente un camminatore. La giacca color kaki sembrava un pezzo di una vecchia divisa ed era trattenuta in vita da un cinturone di cuoio da cui pendevano una tazza smaltata, un tegame e un pentolino. Accanto a lui, appoggiato sul prato, c'era uno zaino non molto grande ma strapieno.

«Buongiorno» lo salutò Dalgliesh. «Scusi se le sembro impertinente, ma dove ha trovato quelle scarpe?»

La voce che gli rispose era colta e un po' pedante; sembrava la voce di un maestro di scuola.

«Spero non vorrà dirmi che sono sue. Mi dispiacerebbe se la nostra conoscenza, per quanto indiscutibilmente destinata a una breve durata, incominciasse con una disputa sulla proprietà.»

«No, non sono mie. Però mi domandavo da quanto tempo appartengono a lei.»

L'uomo finì la mela, poi gettò il torsolo nel fosso, pulì il coltello sull'erba e se lo rimise scrupolosamente in tasca.

«Mi perdoni, posso chiedere se questa domanda è motivata da un'eccessiva e biasimevole curiosità, da un sospetto innaturale nei confronti di un altro essere umano o dal desiderio di acquistare un identico paio di scarpe per sé? Perché in quest'ultimo caso purtroppo non sarei in grado di aiutarla.»

«Niente di tutto questo. Tuttavia è una domanda importante. Non vorrei sembrarle indiscreto, né sospettoso...»

«Non mi sembra neppure particolarmente esplicito. A proposito, mi chiamo Jonah.»

«E io Adam Dalgliesh.»

«Allora, Adam Dalgliesh, mi dia una ragione valida per cui dovrei rispondere alla sua domanda e io le risponderò.»

Dalgliesh esitò un attimo. Esisteva la possibilità teorica che davanti a lui stesse l'assassino di Hilary Robarts; ma non lo credeva plausibile. La sera prima Rickards gli aveva telefonato per informarlo che le Bumble non erano più nella cesta; evidentemente aveva ritenuto doveroso comunicarglielo. Ma questo non significava che le avesse prese il vagabondo, né dimostrava che si trattasse dello stesso paio. «Domenica sera» disse, «una ragazza è stata strangolata qui sulla spiaggia. Se lei ha trovato o ricevuto di recente queste scarpe, o ci ha camminato sul promontorio domenica scorsa, la polizia deve saperlo. Hanno trovato un'orma molto nitida. È importante identificarla, se non altro per escludere dalle indagini chi portava le scarpe.»

«Bene, ora almeno è stato esplicito. Lei parla come un poliziotto, mi dispiacerebbe scoprire che lo è.»

«Non mi occupo di questo delitto, ma sono effettivamente un poliziotto. E so che l'anticrimine locale sta cercando un paio di scarpe da ginnastica Bumble.»

«Ne devo dedurre che queste sono delle Bumble. E io che le consideravo semplici scarpe!»

«Il marchio è sotto la linguetta. È l'idea del produttore: le Bumble sono state realizzate in modo da essere riconoscibili senza mettere in mostra il marchio. Se sono Bumble ci sarà un'ape gialla su ognuno dei tacchi.»

Jonah non rispose, ma con un movimento vigoroso alzò prima un piede e poi l'altro, rimase in quella posizione un paio di secondi e poi li riabbassò.

Per un momento nessuno dei due parlò. «Vuol dire che in questo momento ho ai piedi le scarpe di un assassino?» chiese infine Jonah.

«È possibile che le portasse quando è stata uccisa la ragazza. Capisce perché sono così importanti?»

«Immagino che lei o un altro come lei me lo farete capire.»

«Ha sentito parlare del Fischiatore del Norfolk?»

«È un uccello?»

«Un assassino che ha fatto molte vittime.»

«E queste scarpe sono sue?»

«È morto, ma quest'ultimo delitto è stato commesso con la sua tecnica. Vuol dire che non ne ha mai sentito parlare?»

«Quando cerco un giornale è perché ho bisogno di carta per altri scopi più prosaici. Ce n'è in abbondanza nei bidoni della spazzatura. Raramente li leggo: rafforzano la mia convinzione che il mondo non è fatto per me. A quanto pare il suo Fischiatore assassino mi è sfuggito.»

Jonah tacque per un momento, poi riprese: «E adesso, cosa devo fare? Immagino di essere nelle sue mani».

«Come le ho già spiegato, non seguo questo caso» rispose Dalgliesh. «Sono della polizia di Londra. Ma se non le dispiace venire con me a casa mia, potrei telefonare al funzionario che se ne occupa. Non sto lontano; abito nel mulino, sul promontorio. E se vuole scambiare queste scarpe con un paio delle mie, mi sembra il minimo che possa offrirle. Abbiamo la stessa statura, dovrebbe essercene un paio che le vada bene.»

Jonah si alzò con agilità sorprendente. Mentre si avviavano alla macchina Dalgliesh gli chiese: «Non ho il diritto di interrogarla, ma mi tolga una curiosità: come le ha trovate?».

«Ne sono entrato in possesso, direi casualmente, proprio domenica notte. Ero arrivato sul promontorio dopo l'imbrunire ed ero diretto al rifugio che uso di solito da queste parti. È un bunker di cemento semisepolto sulla scogliera. Lo conoscerà di certo.»

«Sì, lo conosco. Direi che non è un posto particolarmente salubre in cui passare la notte.»

«Lo so, ma offre il vantaggio della privacy. Il promontorio è fuori dal percorso abituale dei miei colleghi. Di solito ci vengo una volta all'anno e mi fermo per un paio di giorni. Il bunker è un riparo perfetto contro le intemperie e la feritoia è rivolta verso il mare, così posso accendere un fuocherello senza timore d'essere scoperto. Spingo da parte detriti e sporcizia e non ci faccio caso. È un principio che le raccomando.»

«È andato direttamente là?»

«No. Come al solito sono stato prima alla Vecchia Canonica. I due vecchi che ci vivono sono gentili e mi lasciano prendere l'acqua. Volevo riempire la borraccia, ma in casa non c'era nessuno. Sebbene la luce al piano terreno fosse accesa, quando ho suonato non ha risposto nessuno.»

«Ricorda l'ora?»

«Non porto orologio e non tengo conto del tempo fra il tramonto e l'alba. Però ho notato che l'orologio della chiesa di St. Andrew, al villaggio, segnava le otto e mezzo quando sono passato di lì. Sarò arrivato alla Vecchia Canonica alle nove e un quarto o poco più tardi.»

«E poi che cosa ha fatto?»

«Sapevo che c'è un rubinetto esterno, vicino al garage. Mi sono preso la libertà di riempire la borraccia senza chiedere il permesso. Credo che non mi avrebbero rimproverato per così poco.»

«Ha visto una macchina?»

«Ce n'era una sul vialetto. Il garage era aperto ma, come le ho già spiegato, non ho visto nessuno. Poi sono andato al bunker. Ero molto stanco; ho bevuto un po' d'acqua, ho mangiato un pezzo di pane e un po' di formaggio e mi sono addormentato. Durante la notte qualcuno ha buttato dentro le scarpe.»

«Proprio buttato?»

«Penso di sì. Se fosse entrato mi avrebbe visto. Le deve proprio aver buttate. In una chiesa di Ipswich c'è un cartello con una massima che dice: "Dio dona un verme a ogni uccello, ma non lo butta nel nido". In questa occasione invece lo ha fatto.»

«E le scarpe le sono cadute addosso senza svegliarla? Sono piuttosto pesanti...»

«Parla davvero come un poliziotto. Domenica avevo camminato per più di trenta chilometri: ho la coscienza tranquilla e dormo sodo. Se mi fossero cadute in faccia senza dubbio mi sarei svegliato. Invece le ho trovate al mattino.»

«Erano posate con cura?»

«No, no. Mi sono svegliato e mi sono girato sul dorso. Ho sentito qualcosa di duro sotto di me e ho acceso un fiammifero: era una delle scarpe. L'altra me la sono trovata vicino al piede.»

«Non erano legate insieme?»

«Se fossero state legate insieme, mio caro signore, difficilmente avrei potuto trovarne una sotto la schiena e l'altra vicino ai piedi.»

«E non si è incuriosito? Dopo tutto erano praticamente nuove; non sono il genere di scarpe che si buttano via.»

«Certo che mi sono incuriosito; ma diversamente da quelli che fanno il suo mestiere, non sono ossessionato dal bisogno di trovare una spiegazione per tutto. Non mi sono sentito addosso la responsabiltà di restituirle al proprietario, né di portarle alla più vicina stazione di polizia. Non credo che mi avrebbero ringraziato per il disturbo. Ho accettato con gratitudine ciò che Dio o il destino mi aveva mandato. Le mie vecchie scarpe erano quasi allo stremo, le troverà nel bunker.»

«Così si è messo queste.»

«Non subito, erano troppo bagnate. Ho aspettato che si asciugassero.»

«Erano bagnate dappertutto?»

«Sì, dappertutto. Qualcuno doveva averle lavate con molta cura, probabilmente tenendole sotto un rubinetto.»

«Oppure aveva camminato in mare.»

«Le ho annusate: non era acqua di mare.»

«È in grado di capirlo dall'odore?»

«Mio caro signore, so usare tutti e cinque i miei sensi, e ho un olfatto particolarmente acuto. So distinguere l'odore dell'acqua di mare da quello dell'acqua di rubinetto. Mi basta annusare la terra per dirle in che contea mi trovo.»

Al crocicchio svoltarono a sinistra, e davanti a loro apparvero le grandi pale bianche del mulino. Per qualche istante rimasero in silenzio.

Fu Jonah a riprendere il discorso. «Forse lei ha il diritto di sapere che specie d'uomo invita sotto il suo tetto, signore. Non ho un lavoro; so che un tempo quelli come me venivano mandati nelle colonie, ma oggi le colonie non accettano più chiunque, tanto più che nel mio caso non avrei sopportato di privarmi degli odori e dei colori della campagna inglese. Ogni anno mio fratello, modello di rettitudine ed eminente membro della sua comunità, trasferisce mille sterline dal suo conto in banca al mio purché non gli procuri mai l'imbarazzo della mia presenza, e il bando è esteso a tutta la cittadina di cui è sindaco. Del resto, dato che con i suoi urbanisti ha distrutto da molto tempo il carattere che il paese un tempo possedeva, l'ho escluso senza rimpianti dal mio itinerario. Mio fratello si dedica instancabilmente alle opere buone e si potrebbe dire che anch'io usufruisco della sua elemosina. È stato onorato persino da sua Maestà: si tratta solo dell'ordine dell'Impero britannico, ma sono sicuro che ha speranze di ottenere qualcosa di più.»

«Mi sembra che suo fratello se la cavi con poco» osservò Dalgliesh.

«Lei sarebbe disposto a pagare di più per garantirsi la mia assenza perpetua?»

«No. Ma se quelle mille sterline devono servirle per mantenersi, mi chiedo come fa. Mille sterline all'anno possono essere una bustarella generosa, ma per vivere non bastano.»

«Per la verità mio fratello sarebbe disposto ad aumentare il prezzo secondo l'indice dell'inflazione; ha un rispetto quasi ossessivo per la correttezza burocratica. Ma gli ho assicurato che venti sterline la settimana sono più che sufficienti. Non ho un affitto da pagare, niente mutuo, niente riscaldamento, luce, telefono, né macchina. Non inquino né il mio corpo né l'ambiente. Un uomo che non riesce a nutrirsi con quasi tre sterline al giorno dev'essere privo di iniziativa oppure schiavo di desideri smodati. Un contadino indiano lo considererebbe un lusso.»

«Un contadino indiano avrebbe assai meno problemi per scaldarsi. D'inverno dev'essere terribile...»

«Un inverno duro è una lezione che tempra, ma non mi lamento: d'inverno godo di buona salute. E i fiammiferi non costano molto. Non ho mai imparato quei trucchi da boy scout con la lente di ingrandimento e i fuscelli strofinati. Per fortuna conosco una dozzina di agricoltori che mi lasciano dormire nei loro fienili; sanno che non fumo, che sono pulito e che me ne vado la mattina presto. Ma non bisogna mai approfittare della bontà altrui. La generosità umana è come un rubinetto difettoso: il primo fiotto può essere abbondante, ma presto il flusso si esaurisce. Ho la mia routine annuale e anche questo li rassicura. Fra poco, in una fattoria trenta chilometri più a nord, cominceranno a dire: "Jonah non viene sempre in questo periodo?". Mi accolgono con sollievo, più che con tolleranza. Se sono ancora vivo, vuol dire che lo sono anche loro. E non mendico mai: offrirsi di pagare funziona molto meglio. "Può vendermi un paio di uova e un quarto di latte?" Ecco, se lo dico alla porta di una fattoria e mostro il denaro, di solito mi danno sei uova e mezzo litro di latte. Non che siano sempre freschissimi, ma non bisogna aspettarsi troppo.»

«E i libri?»

«Ah, signore, ha messo il dito sulla piaga. Posso leggere i classici nelle biblioteche pubbliche, anche se a volte è un po' seccante interrompermi quando viene il momento di andarmene. A parte questo conto sui tascabili di seconda mano, quelli che si trovano sulle bancarelle. Ci sono venditori ambulanti che mi lasciano scambiare i volumi o mi rendono il denaro quando ripasso. È una specie di biblioteca circolante poco costosa. In quanto agli indumenti, ci sono le vendite di beneficenza, l'Oxfam e quei depositi così utili dove smerciano le rimanenze dell'esercito. Io risparmio e ogni tre anni mi compro un cappotto nuovo.»

«Da quanto tempo fa questa vita?»

«Ormai sono quasi vent'anni. Molti vagabondi sono da commiserare perché sono schiavi delle passioni, di solito l'alcol. Ma un uomo che non ha altri desideri se non mangiare, dormire e camminare è veramente libero.»

«Non del tutto» osservò Dalgliesh. «Mi pare che abbia un conto in banca, e ogni anno ha quelle mille sterline.»

«È vero. Pensa che sarei più libero se non le accettassi?»

«Forse sarebbe più indipendente. O forse sarebbe costretto a lavorare.»

«Non so lavorare, e mi vergogno di chiedere l'elemosina. Per fortuna il Signore ha addolcito il vento per il suo agnello tosato. Mi dispiacerebbe negare a mio fratello la soddisfazione di mostrare la sua generosità. È vero, ho un conto in banca per ricevere il sussidio annuo, e in questo si può dire che sono conformista. Ma dato che il mio reddito dipende dalla separazione da mio fratello non sarebbe possibile ricevere il denaro di persona, e il libretto degli assegni con relativo tesserino hanno un notevole effetto sulla polizia quando, come a volte accade, si interessa un po' troppo a ciò che faccio. Non immaginavo che un tesserino di plastica fosse una tale garanzia di rispettabilità.»

«E niente lussi?» chiese Dalgliesh. «Altre esigenze? Alcol? Donne?»

«Se per donne intende dire sesso, la risposta è no. Io rifuggo, signore, dall'alcol e dal sesso.»